di Mimmo Famularo – “La circostanza che esponenti del clan confidassero nel contributo di Tallini non implica di per sé che costui avesse piena contezza di rapportarsi al clan per il tramite dello Scozzafava e di altri soggetti come Paolo Del Sole”. E’ uno dei passaggi cruciali contenuti nelle dodici pagine di motivazioni con le quali la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro la decisione dei giudici del Riesame che avevano annullato l’ordinanza agli arresti domiciliari al consigliere regionale indagato nell’inchiesta “Farmabusiness” con l’accusa di concorso esterno e scambio elettorale politico-mafioso. (LEGGI QUI)
Le ragioni di un ricorso inammissibile
La Cassazione concorda con la tesi dei giudici del Riesame secondo i quali Tallini ha agito, anche a fini di appoggio elettorale, tenendo contatti con soggetti (come Scozzafava) che non avevano disvelato il loro collegamento con il clan Grande Aracri. “Il ricorso – si legge nel provvedimento firmato dal presidente della sesta sezione penale della Suprema corte Anna Petruzzellis (relatore Massimo Ricciarelli) – non si sofferma né sull’origine del rapporto del Tallini con lo Scozzafava né sulle ragioni per cui quest’ultimo avesse preso ad interessarsi della vicenda relativa alla realizzazione del Consorzio” non risultando dunque a priori illogica la motivazione del provvedimento impugnato, “incentrata da un lato sulla vicinanza del Tallini allo Scozzafava e dall’altro sul fatto che lo Scozzafava, interessato al progetto, fatto proprio dal clan, fosse in grado di fornire assicurazioni sull’ausilio che il Tallini avrebbe potuto all’occorrenza fornire, senza che necessariamente il predetto dovesse essere a conoscenza del contatto con il clan”. L’antennista di Catanzaro, accusato di essere la “cerniera” tra i Grande Aracri e Tallini, viene inquadrato dalla Dda come una sorta di “cavallo di Troia” capace di orientare l’azione dell’allora assessore regionale a vantaggio degli interessi della consorteria criminale nelle vicende del Consorzio Farmaitalia e della società Farmaeko. Per i giudici del Riesame Scozzafava svolgeva la professione di antennista ed era inserito in vari ambienti della realtà cittadina. Non solo era in grado di stringere rapporti con esponenti politici di rilievo ma era a sua volta attivo nella politica tanto da essersi candidato in una consultazione locale. “In tale quadro – osserva la Cassazione nelle motivazioni – non si espone a censure la valutazione del Tribunale in ordine al carattere di per sé neutro della vicinanza del Tallini allo Scozzafava, occorrendo elementi specifici, idonei a dar conto della consapevolezza e della volontà del Tallini di operare a vantaggio del clan in cambio di un ausilio di tipo elettorale”.
La diversa trama ricostruttiva tra Dda e Riesame
Quanto all’attivismo di Tallini, la Cassazione ha sottolineato quanto “coerentemente” e “non illogicamente” posto in luce dai giudici del Tribunale del Riesame: il compiacimento circa il fatto che “tutti stiamo lavorando bene” pronunciato dal politico catanzarese “implicava un impegno per il progetto ma non valeva ad attestare lo sfondo criminale dello stesso”; il propiziato incontro con una dirigente della Regione Calabria “non comprovava un’effettiva interferenza dell’assessore” e “non risultava un’ingerenza” di Tallini nella nomina di un altro dirigente regionale “avvenuta sulla base di una procedura regolare”. La Cassazione aggiunge che “non erano emersi interventi del Tallini in sede di rilascio dell’autorizzazione”. Per la Cassazione c’è quindi una “diversa trama ricostruttiva” tra accusa e difesa, tra ciò che sostiene la Dda di Catanzaro e quanto invece messo nero su bianco dai giudici del Riesame. Il concetto principale non cambia e ruota intorno alla mancanza di elementi idonei a suffragare che l’assessore avesse la consapevolezza e la volontà di favorire gli interessi del clan.
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