di Mimmo Famularo – Gli affari dei Mancuso nel settore dei carburanti, le colonnine di benzina sparse sul territorio vibonese, la figura dello zio Francesco Mancuso, alias “Ciccio Tabacco”, e quella di Antonio Prenestì, detto yo-yo, il “braccio armato” dello zio Luigi, al secolo Luigi Mancuso, l’indiscusso boss del potente casato di ‘ndrangheta di Limbadi. Sono questi i principali argomenti affrontati nel verbale inedito riempito dalle dichiarazioni fornite al pm antimafia di Catanzaro Antonio De Bernardo lo scorso 25 novembre dal collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, la cui deposizione è ancora in corso nel maxi processo “Rinascita Scott”.
L’oro nero dei Mancuso
A proposito degli interessi della famiglia Mancuso sul business dei distributori di carburante, il pentito conferma: “La maggior parte dei componenti della mia famiglia investiva in colonnine di benzina attraverso prestanome”. Emanuele Mancuso fa nomi e cognomi ma dice di non essere in grado di riferire se vi fosse una regia comune all’interno del clan nella gestione di questo settore. “Posso dire che i soggetti che ho nominato – afferma – non avrebbero potuto assumere autonomamente questo tipo di iniziative senza il benestare dei maggiorenti di riferimento. In particolare Leo Rizzo non avrebbe potuto farlo senza l’assenso di mio zio Antonio Mancuso o di Michele Mancuso così come Antonino Gallone non avrebbe potuto aprire una colonnina con il Solano senza l’autorizzazione di mio padre essendo un suo faccendiere”.
“Ciccio Tabacco”, lo zio odiato da Luigi Mancuso

Soffermandosi sulla figura di Francesco Mancuso, il pentito parla dell’interesse dello zio per una colonnina di Gioia Tauro. “So che mio zio – dice Emanuele riferendosi a “Ciccio Tabacco” – è uno che conta nella famiglia, non so che dote abbia nella ‘ndrangheta (perché ho avuto sempre un atteggiamento disincantato verso queste questioni rituali) ma so per certo che fa parte del clan, con un ruolo di peso, anche se in disaccordo con molti maggiorenti (gli ‘ziani’ Luigi, Cosmo e Antonio) ha sicuramente dei limiti e si deve fare spazio in mezzo agli altri”. Secondo il pentito, lo zio Francesco (fratello del padre) avrebbe avuto l’intenzione di imitare l’altro zio, Luigi Mancuso, nella strategia della ‘pax’: “Per certi versi voleva riunire la famiglia soprattutto dopo la scarcerazione anche se aveva tutti gli zii contro”. Emanuele fa qualche esempio: “Luigi Mancuso lo odia, Cosmo Mancuso voleva ucciderlo e non c’è riuscito, lo zio Antonio pure lo detestava, anche in ragione di screzi con i Cicerone, ai quali aveva fatto saltare in aria la macchina”.
Il “braccio armato” dello zio Luigi




Emanuele Mancuso ricorda poi che “Tabacco” voleva uccidere Antonio Prenestì, detto yo-yo, “fedelissimo” e “braccio armato” di Luigi Mancuso. “Per farvi capire il ruolo di Prenestì ricordo un’occasione in cui io stesso ho sentito dire a mio zio Mancuso Luigi che se Lo Bianco Paolino non fosse riuscito a risolvere una certa questione su Vibo Valentia sarebbe intervenuto lui direttamente”. La vicenda riguardava il tentativo di estorsione da parte delle “nuove leve” alla Latteria del Sole, un supermercato di Vibo che il boss non voleva venisse sfiorato. “Luigi Mancuso era sicuramente un uomo di pace ma – aggiunge il collaboratore di giustizia – se qualcuno andava a toccare i suoi interessi era capace di risolvere una situazione con la forza anche in poco tempo e anche a Vibo Valentia”. Antonio Prenestì si occupava quindi del “lavoro sporco”. “Era una persona demandata – ribadisce il pentito – per cose delicate, da prendere a muso duro, ‘un azionista’. Quando era detenuto Luigi stava con Cosmo Mancuso, poi alla scarcerazione è tornato con Luigi e mi diceva ‘Per tuo zio do anche la vita…’”. Yo-yo si muoveva in lungo e in largo nell’interesse del boss. “Si spostava tra Milano e la Svizzera anche con l’uso di targa svizzera. Non se se per curare gli affari specifici della cosca ma lui non muoveva un passo senza l’accordo di Luigi”.
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