di Mimmo Famularo – Stavolta l’incubo è per davvero finito. Il nome di Giuseppe Selvino, ex assessore del Comune di Santa Severina, in provincia di Crotone, non compare nella lunga lista degli indagati per i quali la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nell’ambito dell’inchiesta “Basso Profilo” sui presunti intrecci tra ‘ndrangheta, politica e imprenditoria. Per la sua posizione il pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri ha chiesto l’archiviazione e il 61enne è quindi ufficialmente fuori da un’indagine dentro la quale non avrebbe dovuto esserci. Eppure nel blitz 21 gennaio Selvino finì addirittura nell’elenco dei cautelari con l’accusa di turbata libertà degli incanti.
La clamorosa gaffe della polizia giudiziaria
Venti giorni ai domiciliari con stipendio sospeso e revoca della nomina di assessore per un sospetto infamante: aver favorito uno dei principali indagati dell’inchiesta, l’imprenditore Antonio Gallo, per accaparrarsi un appalto indetto dal Consorzio di Bonifica Jonio Crotonese del quale è dipendente e membro interno della commissione giudicatrice di una gara d’appalto. Tutta colpa di alcune intercettazioni erroneamente attribuite dalla polizia giudiziaria a Selvino. Non era però sua la voce ascoltata dagli investigatori nei colloqui intercettati con l’imprenditore Gallo. L’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta è datata 4 settembre 2017 durante una cena alla quale partecipa l’imprenditore Antonio Gallo. “I commensali – annotano gli investigatori – discutevano di operazioni economiche e, come sempre, dì operazioni antimafia, manifestando il loro interesse anche in termini di coinvolgimento”. Una delle voci captate viene attribuita a Selvino ma la difesa smentisce la polizia giudiziaria già nel corso del primo interrogatorio e gli stessi inquirenti davanti all’evidenza dei fatti e delle voci sono costretti a fare marcia indietro. Selvino non centra nulla, è completamente estraneo.
Dalla perizia fonica all’archiviazione
Lo ha capito prima di tutti il difensore di Selvino, l’avvocato Eugenio Felice Perrone, tra i primi a rendersi conto del clamoroso equivoco. Anche perché durante l’interrogatorio di garanzia l’ex assessore aveva negato di aver partecipato a quell’evento, ma non era stato creduto dai magistrati. Il suo legale ha quindi eseguito un’analisi comparativa tra le due voci (quella registrata al compleanno e quella di Selvino captata durante l’interrogatorio di garanzia), portato in Procura il file e sottoposto il materiale all’esame del gip Alfredo Ferraro. Inevitabile la revoca degli arresti domiciliari. Quella voce non era sua e il giudice ha confermato l’incredibile abbaglio: “Il quadro indiziario nei confronti del Selvino va ridimensionato soprattutto alla luce della mancanza di elementi gravemente indizianti circa l’agevolazione di un’associazione ‘ndranghetista, di talché, conformemente a quanto osservato dallo stesso pm, le esigenze cautelari risultano allo stato grandemente scemate”. Alla chiusura delle indagini il nome dell’ex assessore non c’è più. Fuori dall’inchiesta e a un passo dall’archiviazione. Giustizia è fatta ma resta l’onta di quei venti giorni da incubo trascorsi ingiustamente agli arresti domiciliari. Quelli nessuno potrà restituirli a Giuseppe Selvino.
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