25 Giugno 2025
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Rinascita Scott, la soffiata del pentito Arena e l’arsenale in casa del massone

di Mimmo Famularo – Poche parole racchiuse tra due omissis ma quanto basta per svelare un altro retroscena. C’è la “soffiata” del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena dietro il ritrovamento dell’arsenale di armi nella casa di due “insospettabili”, Davide Pietro Licata, 51 anni di Stefanaconi e Rossella Paola Marzano, 45 anni di Vibo Valentia, arrestati nel luglio scorso. Il dettaglio emerge dall’informativa dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia che figura tra i nuovi atti depositati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nel corso dell’udienza preliminare di “Rinascita Scott” nell’aula bunker del carcere di Rebibbia a Roma.

Il verbale inedito del pentito Bartolomeo Arena

Tra un omissis e un altro, Bartolomeo Arena dichiara nel verbale di interrogatorio del 24 ottobre del 2019: “Ulteriore soggetto che so detenere armi è tale Licata di Stefanaconi che è proprietario o comunque componente dell’Università Fidia, il quale è sposato con Rossella Marzano. Le armi dovrebbe detenerle in una stanza segreta della sua abitazione… omissis”. Passano un paio di mesi e nella mattinata del 3 luglio 2020 scatta il riscontro dei carabinieri in contrada Pajeradi a Stefanaconi.

L’arsenale d’armi a casa del “massone”

I militari del Nucleo investigativo bussano alla porta di casa del professore Davide Pietro Licata per eseguire un controllo amministrativo alle armi legittimamente detenute. Tutto procede apparentemente senza intoppi. Il dettaglio che trasforma un normale controllo in una vera e propria perquisizione è un bossolo calibro 7,65 GFL che uno dei carabinieri trova nelle vicinanze della casa. Un particolare che insospettisce visto che nel verbale di verifica amministrativa appena sottoscritto non figurano armi corte. Così gli investigatori tornano dentro l’abitazione e nella cabina armadio viene trovata, su indicazione di Licata e della moglie, Rossella Marzano (anche lei insegnante), una sacca in tessuto con all’interno una pistola semiautomatica, un silenziatore e cinque proiettili. A seguito di un ulteriore invito a consegnare altre armi illegalmente detenute, Licata consegna pure un borsone con dentro un mitragliatore, tre pistole semiautomatiche, proiettili di vario calibro, un altro silenziatore. Nello stessa stanza i carabinieri trovano due giubbotti antiproiettile e diversi smartphone. C’è di più: dentro due valigette portadocumenti viene scoperto persino l’abbigliamento rituale massonico che attesta l’appartenenza di Licata alla loggia massonica “Michele Morelli” di Vibo Valentia.

Una provincia da “disarmare”

Disarmare la ‘ndrangheta è uno degli obiettivi della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri che agisce in sinergia con la Procura di Vibo diretta da Camillo Falvo. Quest’ultimo, proprio nei giorni scorsi, ha sottolineato l’impegno congiunto di magistratura  e forze dell’Ordine per porre un argine al proliferare di armi clandestine che circolano in una provincia salita più volte alla ribalta nazionale per fatti di sangue non sempre di matrice mafiosa. In un contesto come quello vibonese, nel quale la mentalità ‘ndranghetistica è particolarmente radicata, basta una parola di troppo o un semplice sguardo per armare una mano. L’offensiva di magistratura e forze dell’Ordine per debellare un fenomeno piuttosto diffuso ha portato recentemente al ritrovamento di armi prima nel centro abitato di Vibo (arrestato un affiliato ai “Pardea-Ranisi”) e poi nelle campagne di Zungri dove nei guai è finito proprio un indagato di “Rinascita-Scott”.  Già in passato il contributo dei collaboratori di giustizia aveva permesso agli inquirenti di scoprire gli arsenali della ‘ndrangheta vibonese e di smascherare gli armieri dei clan. Sotto questo profilo il contributo di Bartolomeo Arena si sta dimostrando molto efficace e le sue “soffiate” fanno tremare le “nuove leve” delle ‘ndrine di Vibo esattamente come le dichiarazioni di Raffaele Moscato hanno fatto per i “Piscopisani” e quelle di Andrea Mantella per le famiglie di ‘ndrangheta più influenti del territorio.

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