C’era una volta la corruzione elettorale fatta di pacchi di pasta e 50 euro in contanti. Oggi, secondo la Cassazione, può bastare un sorriso, una cena e una promessa di “disponibilità futura”. E’ quanto mette nero su bianco la sesta sezione penale della Suprema corte. Un principio tanto semplice quanto esplosivo: se un politico si impegna a “dare una mano” dopo il voto, quella è una utilità penalmente rilevante. Anche se non c’è ancora la certezza della sua candidatura. Anche se la promessa non è scritta ma sussurrata al tavolo di un ristorante.
Francesco Talarico, già assessore regionale e volto noto del centrismo calabrese, viene così inchiodato dalla sentenza della Cassazione emessa nell’ambito del filone abbreviato del maxi processo scaturito dall’operazione “Basso Profilo”, le cui motivazioni sono state depositate il 23 aprile. I giudici di legittimità rigettano il suo ricorso quasi per intero e ne salvano solo un frammento: le statuizioni civili, che andranno riesaminate. Tutto il resto — intercettazioni, accordi, candidabilità, e trattamento sanzionatorio — regge. E non poco. In particolare, la Cassazione ha sottolineato che, a seguito della riqualificazione del reato derubricato a corruzione elettorale, muta il bene giuridico tutelato, incidendo sulla legittimazione e sul quantum risarcitorio. Rigettate, invece, tutte le altre doglianze, comprese quelle sull’inutilizzabilità delle intercettazioni, sulla genericità delle promesse corruttive e sulla mancata concessione delle attenuanti.
Il patto “illecito”
Secondo i giudici della Suprema corte, Talarico accettò il sostegno elettorale di Antonino Pirrello e Natale Errigo, figure vicine al sistema Gallo, in cambio di “entrature istituzionali”. Un do ut des in piena regola. Il “patto scellerato” si consuma anche senza stretta di mano ufficiale. Per i giudici basta il contesto — la consultazione imminente del marzo 2018, i dialoghi captati in modo limpido, le richieste avanzate — per configurare il reato di corruzione elettorale.
Il fatto che la candidatura di Talarico fosse ancora incerta al momento del pranzo con gli “sponsor”? Per la Suprema Corte è irrilevante: “Il reato è di pericolo astratto”, scrivono i giudici. L’accordo illecito basta da solo a far scattare la responsabilità penale. E poi, aggiungono, “la competizione era già individuata e vicina”.
“Lobbying” o mercimonio?
Né può bastare il paravento del “lobbismo”. La difesa aveva sostenuto che si trattava di una semplice rete relazionale, non di un patto illecito. Ma la Corte ribalta tutto: anche un favore immateriale può costituire utilità corruttiva, se serve a spostare un voto. La generica disponibilità di Talarico non era così generica: era seria, concreta e credibile, tanto da convincere i referenti ad attivarsi. E la Corte non ha dubbi neppure sul sinallagma (lo scambio): “Entrature in cambio di appoggio elettorale” è un messaggio chiaro, e basta poco per farne reato.
Le intercettazioni e le attenuanti negate
Inutile anche la raffica di eccezioni sulle intercettazioni: già rigettate dal gup, non reiterate in appello, non ammissibili in Cassazione. Sui benefici di legge, poi, è gelo totale: niente attenuanti generiche, niente non menzione, condanna ben sopra il minimo edittale. Talarico, lamenta la difesa, era incensurato e non ricopriva cariche pubbliche. Ma per i giudici conta la “particolare gravità del fatto”. Punto.
La beffa finale: statuizioni civili da rifare
L’unico spiraglio è sul risarcimento alle parti civili. La Corte d’Appello aveva confermato le condanne in favore della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Interno anche dopo la riqualificazione del reato. Per la Cassazione è un errore: cambia il bene giuridico tutelato, quindi va rivalutato il danno. Ma è solo una questione civilistica. Sul penale, la porta è chiusa a chiave. La Corte non ha lasciato margini di accoglimento per gli altri rilievi difensivi.
La sentenza e gli altri imputati
Per alcuni imputati la Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso del procuratore generale nel procedimento scaturito – lo ricordiamo – dal filone abbreviato del maxiprocesso Basso Profilo. La sentenza, emessa dal collegio presieduto da Ercole Aprile e redatta dalla Consigliera Debora Tripiccione, ha disposto, in particolare, tre annullamenti con rinvio.
Annullamento con rinvio per Bonofiglio, Curcio e Falcone
La Suprema Corte ha censurato la motivazione della Corte d’Appello che aveva assolto Giuseppe Bonofiglio dai reati di trasferimento fraudolento di valori, rilevando che la sentenza impugnata non aveva considerato la finalità agevolatrice del riciclaggio e del reimpiego di proventi illeciti. Gli atti sono stati rinviati per nuovo esame. Stesso destino per Eugenia Curcio, per la quale è stata ravvisata la medesima carenza di valutazione sulle finalità elusivo-riciclatorie delle operazioni contestate. Per entrambi è stata ritenuta illogica la motivazione sull’assenza del dolo specifico. Quanto a Carmine Falcone, è stato disposto un nuovo giudizio limitatamente alla qualificazione del ruolo associativo e alla sussistenza dell’aggravante mafiosa.. La Cassazione ha ritenuto incoerente il declassamento del suo ruolo a mero partecipe, a fronte di intercettazioni che ne confermerebbero una posizione di vertice, specie nel locale di San Leonardo di Cutro.