Una sentenza destinata a fare “giurisprudenza” quella sesta sezione penale della Cassazione che, nelle motivazioni della loro decisione nel processo abbreviato scaturito dall’operazione “Defender” definito reato il favoreggiamento di un latitante anche in caso si sia parenti del ricercato. A riferirlo è la Gazzetta del Sud
L’operazione aveva coinvolto persone indagate per i reati di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza mafiosa, in particolare, di aver favorito e coperto la latitanza di Giuseppe Pelle (cl. 1960), alias “Gambazza”, arrestato il 6 aprile 2018 a Condofuri dagli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato.
Il 22 settembre 2023 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato le pene inflitti in primo grado dal Gup del Tribunale reggino condannando, per il reato di procurata inosservanza di pena, a 2 anni Giuseppe Barbaro e Marianna Barbaro, a 2 anni e 3 mesi Giuseppe Morabito (condannato anche per favoreggiamento personale), a 2 anni e 8 mesi Antonio Pelle e a 2 anni e 5 mesi Francesco Pelle.
Il dispositivo
“Nel caso in cui la condotta si traduce in un aiuto idoneo a conseguire l’effetto di sottrarre taluno all’esecuzione della pena, dall’adempimento di doveri di solidarietà umana, nascenti da rapporti di parentela e di coniugio o da altri legami socialmente rilevanti, non può derivare esclusione della punibilità. Il giudice d’appello si è attenuto puntualmente a tali principi di diritto e ha dato conto del contributo causale offerto da ciascuno degli imputati al raggiungimento del risultato perseguito, consistito nell’aiutare il latitante a sottrarsi all’esecuzione della pena“.