L’hanno chiamata in codice operazione “Monastero“. E’ il blitz messo a segno all’alba di oggi dai carabinieri del Ros su disposizione della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Sono finiti in carcere i presunti reggenti della cosca Labate, conosciuta col soprannome di “Ti mangiu”: Michele Labate (69 anni), il fratello Francesco Salvatore (59), e Paolo Labate (40), figlio di Michele. Agli arresti domiciliari è stato sottoposto Antonio Laganà (54). Le accuse sono pesanti: associazione di tipo mafioso.
Una cosca storica, ancora viva
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, il clan Labate opera da quasi un secolo nella periferia sud di Reggio Calabria, in particolare nel quartiere Gebbione. L’indagine – avviata nel 2019 – ha ricostruito l’assetto attuale della cosca, evidenziando la persistente pervasività nel tessuto economico locale, anche dopo le inchieste precedenti come l’operazione “Heliantus”. Il clan esercitava una pressione continua sugli imprenditori locali, imponendo il pagamento del pizzo e la fornitura di prodotti alimentari scelti. Le indagini hanno documentato come, anche durante la carcerazione di Michele Labate, fosse Paolo Labate a gestire i rapporti con i commercianti, infiltrandosi nei settori più redditizi, tra cui quello della grande distribuzione.
La conferenza stampa del procuratore Lombardo
Il quartiere Gebbione non è solo un’area popolosa: con i suoi 54mila abitanti, rappresenta uno snodo economico cruciale per Reggio Calabria. Come ha sottolineato la Dda, la forza di una cosca si misura anche dal territorio che controlla. La zona, un tempo periferica, è oggi una delle più densamente urbanizzate e commerciali della città. L’operazione dimostra che le cosche storiche non si dissolvono, ma si adattano e si rigenerano, delegando funzioni e affari a soggetti giovani e apparentemente insospettabili. Come Paolo Labate, che secondo le fonti avrebbe agito da cerniera tra vecchia e nuova generazione criminale.
Durante la conferenza stampa seguita all’operazione “Monastero”, il procuratore facente funzioni Giuseppe Lombardo ha tracciato una delle analisi più lucide e spietate mai offerte su Reggio Calabria e la ‘ndrangheta. “Reggio Calabria non è una città come le altre”, ha detto Lombardo ai giornalisti. “Qui la ‘ndrangheta ha la sua componente apicale, quella che prende decisioni a livello globale. Un dato che deve essere ricordato ogni volta che si parla di questo territorio”.
“Il clan Labate? Ancora fortissimo dopo 18 anni”
Il procuratore ha ricordato come la prima operazione importante contro i Labate risalga al 2007, con il blitz “Gebbione”. “Sono passati 18 anni e siamo ancora qui a parlarne”, ha dichiarato. “Non è un fallimento, ma un segnale della continuità investigativa. Seguiamo fenomeni criminali permanenti, e serve costanza, attenzione, memoria. Lombardo ha posto l’accento sulla dimensione del territorio controllato: “Parliamo di un’area che riguarda 54mila abitanti. Quando si parla degli equilibri interni alla ‘ndrangheta, questo dato è centrale”.
“60mila affiliati. Una struttura ricchissima”
“Non possiamo dare numeri precisi – ha aggiunto – ma le stime parlano di oltre 60mila affiliati. La ‘ndrangheta muove miliardi di euro. È una struttura enorme. Raccontare il fenomeno è indispensabile. La ‘ndrangheta si nutre di silenzi: ogni giorno in cui non si parla di lei, è un giorno che guadagna potere”. Un passaggio centrale della conferenza è dedicato a quella zona grigia che favorisce la criminalità: “Esiste una schiera di soggetti che non sono formalmente ‘ndrangheta, ma vivono secondo le sue logiche. Si avvantaggiano della protezione, partecipano agli affari. Anche loro vanno contrastati”.
“Ai cittadini perbene servono risposte continue”
“La Calabria è una terra di persone perbene, che non possono essere lasciate sole”, ha concluso Lombardo. “Chi resta in questa terra e rifiuta le logiche mafiose ha bisogno di vedere lo Stato presente ogni giorno. Non solo quando arrivano le sentenze”.