Il reato di falso ideologico non sussiste se la dichiarazione mendace è finalizzata a ottenere un contributo dello Stato inferiore a quattromila euro. In tal caso, la condotta non è neppure considerata reato.
La vicenda
Una lavoratrice era stata rinviata a giudizio con l’accusa di falso ideologico per aver dichiarato, nella richiesta di esenzione dal contributo unificato in una causa di lavoro contro il suo licenziamento, che il reddito del proprio nucleo familiare fosse inferiore a 35.000 euro. Il giudice del lavoro aveva successivamente dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinando a una nota azienda di Catanzaro di riassumerla. Tuttavia, la dirigente della cancelleria, riscontrando una discrepanza tra quanto dichiarato e i redditi effettivi, aveva trasmesso gli atti alla Procura per valutare il reato di falso. Nel processo celebratosi oggi, il Pubblico Ministero aveva richiesto la condanna dell’imputata, R.M., a sei mesi di reclusione. Tuttavia, il giudice Aloisi, accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato Francesco Gigliotti, ha assolto l’imputata perché il fatto non costituisce reato.
Le argomentazioni della difesa
La difesa ha basato la propria argomentazione su un principio chiaro e rilevante: quando una falsa dichiarazione mira a ottenere l’esenzione dal pagamento di un contributo o di una tassa, il reato ipotizzabile non è quello di falso ideologico, bensì quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Tale ipotesi, però, si configura solo se il beneficio ottenuto supera i 4.000 euro; al di sotto di questa soglia, il reato non è punibile. In sostanza, non vi è differenza tra il ricevere dallo Stato una somma di denaro e l’ottenere un risparmio economico su un tributo: entrambi costituiscono un vantaggio economico. L’avvocato Gigliotti si è detto molto soddisfatto dell’esito del processo, definendolo “una vittoria della logica giuridica e della giustizia”.