Ci troviamo davanti ad una mattanza. Una strage di giovani. Ragazzi perbene e incensurati: Salvatore Turdo, Andrea Miceli e Massimo Pirozzo, finiti a colpi di pistola come dei boss. Trucidati con venti colpi di pistola davanti ad una piazza stracolma di gente che stava trascorrendo una serata in totale spensieratezza. La strage si è verificata a Monreale, cittadina in provincia di Palermo dove le “scuole” di mafie non sono state ancora chiuse. A sparare, forse, un diciannovenne che per sentirsi forte non disdegnava di passeggiare armato. Tre morti e due feriti.
Come nel far west
Più che una sparatoria sembra un attentato terroristico. Monreale per pochi minuti si è trasformata in un far west. Ma come può un giovane commettere reati così orribili? Come si può disprezzare la vita così tanto? Turba questa mattanza perché ad uccidere, molto probabilmente, è stato un giovane. Non ci meravigliamo perché i killer di ’ndrangheta sono quasi tutti giovani e giovanissimi. Quindi nessuna sorpresa. Di questo passo si sta andando dritti verso la distruzione dei rapporti umani.
La violenza dei giovani e il fallimento delle agenzie educative
Negli ultimi vent’anni centinaia di giovani si sono resi protagonisti di fatti di cronaca di inaudita violenza. Occorre invertire la rotta chiamando alle proprie responsabilità famiglia, scuola e parrocchia, che devono vigilare sulle nuove generazioni, sempre più schiave delle nuove dipendenze. Stiamo costruendo giovani violenti, capaci di tutto. Persino di ammazzare per futili motivi. Come a Monreale: tre morti e due feriti. Sospettato del triplice omicidio un ragazzo di 19 anni. Come uscire da questa trappola?
Puntando sulla formazione delle coscienze. È arrivato il momento di educare i giovani alla legalità e al rispetto delle regole del buon vivere civile. È questo il compito di tutte le agenzie educative presenti sul territorio.
Vigilare sulle regole della comunità
Nella nostra società siamo travolti da comportamenti violenti. Di fronte all’imperversare di quest’onda distruttiva che fare per arginare quelle subculture che hanno come obiettivo la prevaricazione e la sottomissione? Che fare per non dare ragione ai prepotenti che con i loro atteggiamenti “stile ’ndrangheta” o “Cosa Nostra” limitano le libertà dei loro simili?
Il discorso va esteso anche ai giovanissimi che, molto spesso, sottopongono i loro compagni di classe ad atti di violenza inaudita.
Dai piccoli gesti è possibile cambiare i grandi sistemi. Dire no alla prepotenza è un atto di coraggio. È anche una responsabilità nei confronti di tutti, perché è nei comportamenti egoistici, personalistici e discriminatori che trova campo libero la cultura mafiosa.
Il silenzio, alleato delle mafie
Il bene di noi tutti dipende da quanto siamo disposti a vigilare sulle regole della comunità. Non parlare, girarsi dall’altra parte quando vediamo o sentiamo di qualcuno che ha commesso un’azione che va contro il bene di tutti equivale a dare diritto di cittadinanza a quei personaggi che l’hanno commessa. È stato grazie al silenzio della paura che le mafie sono riuscite a creare attorno a loro terra bruciata e un’emorragia migratoria ancora in atto.
La cultura mafiosa e la società dell’apparenza
Nella società dell’apparenza le mafie rappresentano uno strumento per raggiungere in fretta il successo economico. Ma che vita è quella di chi sceglie la carriera mafiosa?
Una vita di pericoli, di morte, di violenza, di galera, di solitudine, di assenza di affetti e di invisibilità. L’unica cosa visibile saranno i beni materiali accumulati.
Immaginate se in quelle comunità dove non esistono cinema, biblioteche o ludoteche al posto dei palazzi dei boss ci fossero spazi per i giovani, luoghi di confronto e di crescita: pensate che terre sarebbero, ora, la Calabria e la Sicilia.
Il diritto come favore: un pericoloso inganno
Riverire un capomafia o un affiliato, pronarsi alla loro ostentata potenza rende un popolo ostaggio dei voleri mafiosi. Perché i nostri diritti non siano dei favori da chiedere.
Bisogna stare molto attenti a riconoscere quali sono i nostri diritti, perché nelle terre di mafia un diritto come il lavoro viene svenduto come favore concesso.
Questo perverso meccanismo trasforma il diritto al lavoro, garantito dalla Costituzione, in un privilegio concesso grazie alle personali amicizie. Ma una comunità deve pensare unita, non può permettersi di ragionare come singoli interessati soltanto al proprio tornaconto.
La lotta per la legalità passa dalla cultura e dalla coscienza
Mettiamo il caso che una persona a noi cara non ha amicizie su cui contare: è tagliata fuori da ogni tipo di rete clientelare. Cosa le succede?
Rimanendo fuori dalla logica dei favoritismi che piace tanto alle mafie, è costretta a emigrare oppure ad elemosinare un favore in cambio di eterna gratitudine.
Elemosinare un posto di lavoro non è degno di una Repubblica.
La vera forza è il rispetto della legge
Per affermare una cultura di pace, perché possedere un’arma non vuol dire essere più forti, ma avere paura. Per difendere le nostre bellezze naturali avvelenate dai traffici illegali di rifiuti tossici. Ogni cittadino ama la propria terra e le sue bellezze naturali.
Evidentemente i mafiosi non amano la propria terra, lo dimostrano i loro traffici di rifiuti tossici scaricati nei mari e sui monti in cambio di soldi. Perché per loro l’unico metro di giudizio è il denaro. La loro coscienza non prova rimorso nello scaricare rifiuti pericolosi negli stessi mari dove i bambini andranno a giocare e a tuffarsi.
La speranza nasce dall’educazione
Una comunità civile deve lottare per la propria natura e perché essa non venga stuprata dai cinici interessi mafiosi. Stragi come quella di Monreale, in stile mafioso, si possono evitare solo se la società sa darsi nuovi valori. Una pistola in tasca è il sintomo di un malessere sociale che va fermato. È arrivato il momento di rivedere le relazioni sociali.
Un giovane che ha il coraggio di ammazzare in questo modo deve far riflettere.
Solo i killer di mafia sono in grado di compiere questi atti di crudeltà.