Punto di incontro tra la cultura liberale e quella di sinistra
Le spinte creative colmarono il debito del pensiero di Benedetto Croce e di Gaetano Salvemini. L’idea era di creare una terza forza fra lo schieramento cattolico e quello comunista, attorno alla quale convogliare la cultura laica e liberale della nazione. Sicché il giornale conservò una linea di totale indipendenza rispetto al potere politico ed economico-finanziario. “Il Mondo” sembrò, dunque, il punto di incontro tra la cultura liberale e la cultura di sinistra. I calabresi che collaborarono furono quattro: Corrado Alvaro di San Luca, Mario La Cava di Bovalino, Giuseppe Arena di Roccella Jonica e il giornalista Gianni Cervigni di Locri. Tutti e quattro della Locride, a dimostrazione della fecondità intellettuale di quel territorio.
Corrado Alvaro, che compì i suoi studi al “Liceo Pasquale Galluppi” di Catanzaro dove nel 1913 conseguì la licenza liceale e dove rimase fino al gennaio del 1915, anno in cui partì militare per combattere la prima guerra mondiale, assegnato a un reggimento di fanteria di stanza a Firenze, nel 1954, colpito da un tumore addominale, si sottopose a un delicato intervento chirurgico. La malattia colpì anche i polmoni, e Alvaro morì, vegliato fino alla fine da Cristina Campo, nella sua casa di Roma l’11 giugno 1956, lasciando incompiuti alcuni romanzi.
Le giornate di Corrado Alvaro nella sede della rivista
Nel blog “PinoBrosio.it” si leggono le giornate dello scrittore calabrese passate alla redazione della nascente rivista: “[…] ‘Il Mondo’ chiudeva alle 21 e Alvaro se ne tornava poi a piedi da via Campo Marzio verso la sua bella casa sulla scalinata di piazza di Spagna […]”.
Mario La Cava fu tra i primi collaboratori de “Il Mondo”. I primi contatti fra La Cava e Pannunzio risalivano ai primi anni Trenta, quando alcuni racconti e caratteri lacaviani circolavano sui rotocalchi di Longanesi (di cui Pannunzio era stato redattore) e sulla rivista «Caratteri», fondata dallo stesso Pannunzio e da Delfini nel 1933. Poi La Cava ruppe con Pannunzio; ce n’è traccia del motivo della separazione in una lettera scritta a Sciascia. La collaborazione di La Cava a “Il Mondo” si concluse definitivamente nel 1954 con un articolo polemico dal titolo “Letterati a convegno”.
Gli interventi lacaviani sul periodico di Pannunzio s’inserirono nel quadro del dibattito meridionalistico di matrice liberale e progressista al quale “Il Mondo” diede ampio spazio in tutto l’arco della sua esistenza, ospitando sia contributi d’impostazione teorica come quelli di Gaetano Salvemini, Manlio Rossi-Doria, Francesco Compagna, Ugo La Malfa, Vittorio De Caprariis, ma anche con articoli dal taglio giornalistico come le inchieste di Anna Garofalo e i reportages di Giovanni Russo, Salvatore Rea e di molti altri scrittori.
Gli altri due calabresi amici de “Il Mondo”
Con Alvaro e La Cava ci furono altri due calabresi amici de “Il Mondo”, uno noto e uno poco conosciuto. Il primo, quello noto, era un giornalista nativo di Locri, Gianni Cervigni, che chiuse la sua carriera come capo-redattore della sede romana de “Il Giorno” di Milano. Cervigni, ricordando il suo maestro, ebbe a dire: “L’influenza che Il Mondo esercitava su di noi, o forse su alcuni di noi, non si risolveva però solo sul terreno delle idee, ma s’estendeva anche alla forma, allo stile, con cui tali idee venivano espresse”.
Il collaboratore ignoto era Giuseppe Arena di Roccella Jonica, professore di filosofia, negli anni ’60, presso il Liceo classico “Ivo Oliveti” di Locri. Era ignoto perché firmava i racconti con due pseudonimi: Bruno Malatesta e Lia Bhas (in arabo bhas significa sabbia, arena).
La vera identità (era nota soltanto a Giulia Massari, responsabile delle pagine culturali de “Il Mondo”) dell’elzevirista calabrese si seppe in punto di morte. Scrisse 21 storie (15 a firma Lia Bhas e 6 a firma Bruno Malatesta, dal 1957 al 1960) in cui narrò i vizi e le virtù della società meridionale suscitando lo stupore e l’ammirazione dei lettori che si chiedevano, invano, chi si celasse dietro quei nomi. L’editore Franco Pancallo di Locri nel 2002 raccolse in un volume, Con finto nome, gli scritti del professor Arena. Ma ancora prima Franco Guglielmelli impiegò le sue energie per riportare alla luce gli scritti di Arena. Ricordare Giuseppe Arena significa rievocare momenti di un’epoca che fu, oggi neppure immaginabile per la dispersione e frantumazione della memoria, tipica della civiltà odierna. Il tempo o è vissuto o scivola sulla nostra coscienza senza lasciare traccia.
Aldo Guerrieri, suo allievo e a sua volta docente, ricordò negli anni a venire un tratto del suo maestro: “Con Arena, ascoltando le sue lezioni, il tempo della nostra coscienza s’allargava in un’ampia prospettiva storica che abbracciava il passato come se fosse palpitante attualità. La lezione odierna della contemporaneità della storia era per Arena una seconda natura e la nostra coscienza di adolescenti veniva educata a percepire la complessa drammaticità della storia con una metodologia che mai si rivelava riduttiva o incapace di comprendere le ragioni degli altri”.