Ogni 21 marzo si celebra la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Oggi Libera ne ha ricordate 193 uccise dalla ‘ndrangheta. Un numero che dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza civile. E invece no. C’è la cerimonia, la bandiera, il tweet d’occasione del politico di turno. Poi tutto torna come prima.
Siamo diventati un Paese dove ci si preoccupa più degli imputati che delle persone offese, dove si ha più cura dei garantismi che dei coraggiosi. Quei cittadini che non pagano il pizzo, che denunciano, che non si girano dall’altra parte. Gli unici veri eroi civili.
La lotta alla mafia? Solo nei comizi
A parole, il Governo è in prima linea contro le mafie. Nei fatti, ha smantellato pezzo dopo pezzo gli strumenti per combatterle. Le riforme recenti sembrano scritte da un “consiglio d’amministrazione di colletti bianchi”. Con buona pace dei magistrati e delle forze dell’ordine che ogni giorno rischiano la vita.
Cartabia e Nordio: il doppio colpo alla giustizia
Prima la riforma Cartabia, che ha imposto il silenzio sulle fonti e sulla stampa. Un bavaglio mascherato da lotta alla “gogna mediatica”. Poi è arrivato Nordio, il ministro di Grazia (e Ingiustizia), che ha completato l’opera: abolizione dell’abuso d’ufficio e via libera alle raccomandazioni; depotenziamento del traffico di influenze e clientelismo legalizzato; limite di 45 giorni alle intercettazioni e delinquenti in festa, liberi di parlare al telefono dal 46esimo giorno in poi; preavviso di 5 giorni prima di arrestare qualcuno. Surreale ma vero. L’equazione è servita: meno manette, più mazzette.
Una giustizia forte con i deboli e debole con i forti
Nel nuovo ordine giudiziario, i ladri di polli andranno in carcere, gli straccioni verranno condannati, ma i colletti bianchi? Sempre più liberi. E con più strumenti per influenzare, comprare, corrompere. La borghesia mafiosa, quella che porta la ‘ndrangheta nei consigli d’amministrazione, può stare tranquilla.
Separazione delle carriere: verso uno Stato di polizia?
Il grande cavallo di battaglia del governo è la separazione delle carriere. Una riforma che, nella narrazione ufficiale, servirebbe a garantire equilibri. In realtà è una riforma contro la magistratura, non per la giustizia. Il pm diventerebbe per davvero un super-poliziotto, ma senza potere reale di coordinare la polizia giudiziaria. Il tutto nelle mani dell’esecutivo. Risultato? Una giustizia sbilanciata, un potere esecutivo ipertrofico, e un controllo debole sulla corruzione. Non oggi, magari domani. Ma il rischio è concreto.
La vera riforma? Meno fumo, più magistrati e processi più rapidi
Se il Governo volesse davvero combattere mafia e corruzione, partirebbe da qui: assunzione di nuovi magistrati e cancellieri; digitalizzazione dei processi; snellimento della macchina giudiziaria; utilizzo dei beni confiscati per finanziare la giustizia. E per equilibrare il sistema della giustizia farebbe una vera riforma sulla carcerazione preventiva, evitando arresti facili e spettacolarizzati, garantendo che chi è davvero pericoloso venga fermato sul serio.
La domanda finale (senza risposta)
Il Governo vuole davvero combattere la ‘ndrangheta e la corruzione? A parole, sì. Nei fatti, l’esatto contrario. L’antimafia è diventata una sfilata da talk show, mentre in aula di tribunale e nei corridoi del potere si tolgono armi a chi combatte davvero. Ma finché ci sarà qualcuno che denuncia, non cede, non scappa e non si arrende, la speranza resta viva. Sono loro che vanno protetti. Non i loro aguzzini.
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