A Vibo Marina, si celebra un’opera pubblica attesa da vent’anni come fosse il Ponte di Brooklyn. Alle 16:30, il sindaco Enzo Romeo e la sua squadra di assessori taglieranno il nastro del nuovo sottopasso ferroviario, un’infrastruttura che, per quanto modesta nella sua struttura, ha richiesto tempi di realizzazione da record… ma al contrario.
Non si tratta di un grattacielo, né di un tunnel alpino. È un buco sotto i binari, con due rampe. Ma l’evento sarà solenne. Come ogni taglio del nastro che si rispetti.
Vent’anni per scavare una fossa
Chi scrive – per deformazione professionale – ha cercato di capire cosa potesse mai aver impedito la realizzazione in tempi umani. Guerre, crisi globali, invasioni di cavallette? Nulla di tutto ciò. Solo la classica paralisi burocratica italiana: ritardi, appalti lumaca, carte su carte, varianti in corso d’opera, passaggi tecnici che avrebbero scoraggiato anche il più ottimista dei cittadini.
Il progetto risale all’epoca del Nokia 3310. Si inaugura oggi che i bambini dell’epoca sono adulti laureati, forse già emigrati.
Strategica, si fa per dire
La vera perla però è il comunicato ufficiale, che definisce l’opera “strategica per la viabilità e il turismo”. Immaginate le lacrime del turista tedesco, finalmente libero di non attendere il passaggio a livello per raggiungere la spiaggia. Albergatori in visibilio, automobilisti in posa per il selfie celebrativo, hashtag d’ordinanza: #GrazieSindaco.
Intanto, i residenti si chiedono se quel sottopasso risolverà davvero qualcosa o si allagherà al primo temporale. Ma poco importa: l’opera è lì, si inaugura, e tanto basta per accumulare consenso.
Tra selfie e plausi, resta il simbolo di un Paese
Il primo cittadino – che non ha alcuna responsabilità diretta per i ritardi pluriennali, ma ha il merito politico di chi taglia il traguardo – oggi riceve applausi. Il tutto mentre in altre zone della città le emergenze idriche e infrastrutturali restano irrisolte.
Ma in fondo è questa l’Italia che applaude: un Paese in cui finire un’opera equivale a una vittoria epocale. Dove anche un sottopasso – per quanto utile – diventa simbolo di una politica che spesso non sale, ma scende. Scende, passa sotto. E inaugura. Con foto, targa e buffet.