Le donne hanno ormai una presenza schiacciante nella sanità, ma solo dal punto di vista numerico. La loro crescita nelle corsie ospedaliere e negli ambulatori di medicina generale non si riflette nella struttura gerarchica né nell’organizzazione del lavoro.
Nella fascia d’età tra i 24 e i 59 anni, le donne rappresentano il 58,3% dei medici, superando i colleghi uomini.
Tuttavia, la tendenza si inverte tra i professionisti più anziani: tra i 60 e i 75 anni, la quota maschile si attesta ancora al 67%, mantenendo il controllo del sistema. Questo squilibrio porta la percentuale complessiva delle donne iscritte all’Albo dei medici (su un totale di 422.511 professionisti) al 47%, ovvero quasi la metà.
Il ruolo delle donne nella medicina territoriale
Se si analizza il settore della medicina di famiglia, il quadro cambia ulteriormente. Nelle regioni del nord, le donne rappresentano il 75% dei medici di base, un fenomeno che si sta espandendo anche nel sud.
In Campania, per esempio, le dottoresse sono già il 51% del totale. Tuttavia, il loro ruolo è reso più complesso dalla carenza di personale, che le costringe a compiere veri e propri salti mortali per conciliare vita professionale e privata. Un problema che il Servizio sanitario nazionale sembra ancora ignorare.
La resistenza al cambiamento
“La sanità è ancora organizzata secondo un modello pensato per gli uomini”, denuncia Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), in un’intervista al Sole24ore.
“Le regole sono rimaste ferme agli anni Settanta e non rispettano il work-life balance delle professioniste. Il cambiamento è ostacolato dall’assenza di leggi e regolamenti adeguati, oltre che dalla mancanza di una reale volontà politica e istituzionale”.
Secondo Anelli, il problema non è legato a pregiudizi di genere, ma al carico di lavoro. “Molte donne rinunciano a ruoli apicali perché semplicemente non hanno il tempo per impegnarsi negli Ordini professionali o nelle posizioni dirigenziali delle aziende sanitarie”, spiega. Una situazione che richiederebbe nuove regole e un’organizzazione diversa, ma che continua a essere ignorata.
Il contributo delle donne negli ospedali
Oggi le donne medico ospedaliere rappresentano il 60% del personale sanitario, ma solo il 22% ricopre incarichi dirigenziali nelle Aziende sanitarie locali (Asl). Un dato che evidenzia un evidente soffitto di cristallo.
“Ma il problema non è solo scalare la gerarchia”, afferma invece Sandra Morano, responsabile dell’area formazione femminile di Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri. “Il vero obiettivo deve essere il cambiamento del sistema sanitario, che oggi è vicino al collasso”. Secondo Morano, le donne possono offrire un approccio gestionale più circolare e meno piramidale, basato sull’ascolto e sulla collaborazione, piuttosto che su una leadership rigida e gerarchica.
“La crisi sanitaria ha dimostrato che il sistema attuale non regge più”, conclude Morano. “Eppure, qualsiasi forma di rinnovamento spaventa. Figuriamoci l’arrivo di una falange di donne ai vertici della sanità”.
Un cambiamento necessario
La presenza femminile nella sanità è destinata a crescere ulteriormente, ma senza una riforma strutturale, le donne continueranno a essere la maggioranza invisibile.
Serve un cambio di paradigma, che permetta loro di accedere ai ruoli decisionali e di trasformare la sanità pubblica, rendendola più efficiente e inclusiva.