Una riforma storica entra nel codice penale italiano: da oggi, chi aggredisce un arbitro sarà punito come se avesse colpito un agente di polizia. È questo l’effetto del Decreto Sport approvato dal Consiglio dei ministri, che modifica l’art. 583-quater del Codice penale, equiparando i direttori di gara a pubblici ufficiali in termini di tutele giuridiche.
Un passaggio che arriva dopo anni di denunce e numeri allarmanti: solo nella stagione 2023-2024 si sono registrate oltre 500 aggressioni ai danni degli arbitri, molte delle quali nei settori giovanili e dilettantistici.
Il segnale dello Stato
Il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi ha parlato di una “risposta concreta contro atti ignobili”, sottolineando come la norma rappresenti “un messaggio chiaro di protezione nei confronti di chi garantisce il rispetto delle regole sui campi”.
Dello stesso avviso il presidente dell’AIA Antonio Zappi, che ha definito il provvedimento “una legge di civiltà” e ha annunciato futuri programmi formativi rivolti a società e famiglie, per “ricostruire una cultura del rispetto”.
Cosa cambia concretamente
La nuova normativa prevede che l’aggressione a un arbitro, durante o dopo una gara ufficiale, sia trattata come un reato contro un pubblico ufficiale. Le sanzioni? Fino a cinque anni di reclusione, che possono salire a sedici anni in caso di lesioni gravi o gravissime. Una misura che vuole essere, al tempo stesso, deterrente e educativa.
La situazione in Calabria
La Calabria è tra le regioni più esposte al fenomeno delle aggressioni agli arbitri, con episodi che hanno scosso l’opinione pubblica sportiva e non solo. Nel 2023, nella provincia di Vibo Valentia, si sono verificati scontri particolarmente violenti in ambito dilettantistico, tanto da spingere la Prefettura a emettere 12 DASPO sportivi nei confronti di dirigenti, calciatori e sostenitori.
Ma il caso che ha destato maggiore indignazione è avvenuto nel Reggino, dove un arbitro quindicenne e suo padre sono stati aggrediti a fine gara da un dirigente sportivo. Il giovane direttore di gara ha riportato una prognosi di tre giorni, mentre il genitore cinque. Un episodio che ha riportato al centro del dibattito la necessità di proteggere non solo la figura arbitrale, ma anche i più giovani impegnati nei percorsi di formazione sportiva.
“Situazioni come queste dimostrano quanto fosse urgente una riforma strutturale”, ha dichiarato un dirigente dell’AIA calabrese. “Speriamo che il nuovo quadro normativo sia un deterrente reale”.