× Sponsor
4 Dicembre 2025
11.9 C
Calabria
spot_img
spot_img

Uccisi e dati alle fiamme nel Catanzarese dalla ‘ndrangheta, assolti i due presunti killer anche in appello (NOMI)

Confermato il verdetto di primo grado. Resta senza un colpevole il duplice omicidio Falcone-Iannoccari, non ha retto l'inchiesta della Dda di Catanzaro

Assolti per non aver commesso il fatto. La Corte di assise appello di Catanzaro, presidente Piero Santese, a latere Caterina Capitò, ha confermato il verdetto di primo grado, scagionando Salvatore Abbruzzo e Francesco Gualtieri, entrambi di Borgia, dall’accusa del duplice omicidio di Massimiliano Falcone e di suo cugino Davide Iannoccari, aggravato dalle modalità mafiose, avvenuto nel novembre del 2006 a Taverna nel Catanzarese, accogliendo la richiesta degli avvocati Salvatore Staiano, Guido Contestabile, Isabella Camporato e Antonio Lomonaco.

Il movente

Crolla anche in secondo grado l’inchiesta della Dda che aveva proposto ricorso perché venisse ribaltato in condanna il verdetto assolutorio chiedendo per gli imputati la pena esemplare dell’ergastolo per i due presunti killer. Resta senza un colpevole un duplice delitto il cui movente sarebbe da ricercarsi nei contrasti territoriali insorti tra la famiglia Cossari e i Catarisano per il controllo dell’area di Roccelletta di Borgia. Massimiliano Falcone, esponente di spicco della famiglia Cossari e conosciuto per la sua caratura criminale e spregiudicatezza, in particolare, nella gestione delle attività estorsive, stava trascorrendo all’interno del villaggio Lagomar la sua latitanza. Qui fu raggiunto dai killer e freddato, assieme al cugino Davide Iannoccari, da numerosi colpi provenienti da due pistole calibro 9. I cadaveri sarebbero poi stati gettati nelle campagne di Sorbo San Basile, per essere dati poi alle fiamme per cancellare ogni traccia.

La rinnovazione dell’istruttoria

Durante la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è stato nuovamente ascoltato il pentito Santino Mirarchi, lo stesso che in primo grado è stato ritenuto inattendibile dai giudici della Corte per una serie di dubbi sull’ora e sulla presenza dei due imputati nel luogo del delitto. E se è vero che le propalazioni di altri pentiti possono ritenersi attendibili o neutri, perché inquadrano un delicato periodo storico o perché si limitano a qualificare Abbruzzo e Gualtieri, “azionisti” in seno alla cosca di appartenenza, particolarmente temuti per la loro inclinazione a compiere efferate azioni sanguinarie, senza addentrarsi in questo duplice omicidio, lo stesso non può dirti del collaboratore di giustizia Santino Mirarchi, “le cui contestazioni difensive hanno evidenziato, una monumentale contraddizione logica e una documentata falsificazione”. Il pentito ha dichiarato di aver saputo i nomi degli esecutori materiali durante un incontro, avvenuto un mese e mezzo dopo l’omicidio, dove erano presenti anche due esponenti del clan Arena. Secondo quanto emerso dai certificati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria entrambi gli uomini erano in quel momento detenuti. Per i giudici di primo grado: “non si è trattato di sovrapposizioni di fatti nella memoria ma di mendacio, non aveva conoscenza dei fatti, al di là dei sospetti nutriti dagli accoliti”. 

Le dichiarazioni del pentito Mirarchi

Mirarchi ha riferito di aver appreso da una duplice fonte che gli omicidi di Falcone e Iannoccari sono stati commessi dal duo Gualtieri- Abbruzzo. In particolare il duplice delitto gli fu riferito in un’occasione da Eros Cavigliano e  Vittorio Scadelli, in un’altra da Santino Gigliotti, il quale gli ha confidato di aver appreso direttamente da Nando Catarisano, in una circostanza in cui erano presenti anche Giuseppe Arena e Franco Gentile, che a compiere l’omicidio sarebbero stati proprio Abbruzzo e Gualtieri. Fu presente ad una riunione cui parteciparono, oltre alle due vittime, Giuseppe Fraietta, Eros Cavigliano, Giuseppe Babbino, Abbruzzo e Gualtieri, nel corso della quale si discusse in particolare della richiesta degli ultimi due di fare ingresso nel gruppo Falcone, mettendosi al suo servizio. Poi partecipò ad ulteriori più ristretti incontri con Falcone e Babbino, nel corso dei quali quest’ultimo mise in guardia il primo invitandolo a diffidare di Abbruzzo.

 La guerra per il dominio del territorio Germaneto- San Floro

 Mirarchi ha dichiarato che nel febbraio del 2016, durante un litigio avuto con Domenico Falcone, quest’ultimo gli avrebbe riferito l’intenzione di intraprendere una guerra contro il gruppo di Roccelletta di Borgia per vendicare l’omicidio del fratello Massimiliano, con l’appoggio della cosca di Vallefiorita. Alla proposta di Domenico Falcone, il collaboratore di giustizia si sarebbe dissociato, per timore delle reazioni omicidiarie degli esponenti del gruppo Catarisano, ritenuti pericolosi azionisti. Ma il vero movente non sarebbe stata la vendetta, “la vera ragione della guerra era il controllo delle attività criminali, in particolare delle estorsioni sul territorio”, soprattutto quelle relative alle pale eoliche.  “In particolare Mimmo Falcone voleva spingermi con Nico Giofrè, in accordo con Luciano Babbino e il gruppo di Vallefiorita  a fare guerra al gruppo di Roccelletta per escluderli dalle estorsioni più importanti sul territorio, specialmente nella zona di Germaneto- San Floro. Io anche se volevo aiutarli ritenevo che non avremmo potuto sostenere la guerra con quelli di Roccelletta di Borgia perché questi ultimi sono tutti azionisti e quindi avrebbero reagito immediatamente tanto che sarebbe stato necessario sopprimerli tutti contemporaneamente  per non rischiare di subire la reazione dei superstiti”. Mirarchi ha narrato di non volere problemi con i suoi canali di approvvigionamento, provenienti dalla provincia di Reggio Calabria e che dovevano passare da Roccelletta.

 Una guerra che avrebbe bloccato questo traffico “ed io avrei potuto subire non solo le conseguenze economiche, ma anche nei miei rapporti con i fornitori reggini che avrebbero visto il territorio sconvolto e quindi il loro traffico bloccato senza che ne fossero stati informati”. Il pentito ha delineato una mappa del gruppo delinquenziale nella frazione di Roccelletta di Borgia, dopo la morte di Massimiliano Falcone, raccontando che era  capeggiato da Giuseppe Cossari, 47 anni e vi facevano parte gli omonimi cugini Giuseppe Cossari, 45 anni,  (figlio di Domenico) e  Giuseppe Cossari, 32 anni (figlio di Salvatore), nonché Giuseppe Fraietta, cognato dello stesso collaboratore di giustizia, dichiarando, inoltre, che con la morte di Massimiliano Falcone, il predetto gruppo delinquienziale entrava in contrasto con i Catarisano, di cui facevano parte tra gli altri Salvatore Abbruzzo e Francesco Gualtieri. Nel corso del processo è stato sentito anche il collaboratore di giustizia Vincenzo Colosimo che ha riferito di aver saputo del duplice omicidio direttamente da Gualtieri, senza però fornire alcun dettaglio in merito. Dichiarazioni che non hanno sortito effetto alla luce della sentenza di assoluzione. 

ARTICOLI CORRELATI

ULTIME NOTIZIE