Nel quadro tracciato dal Rapporto Cnel 2025 “L’attrattività dell’Italia per i giovani dei Paesi avanzati” (presentato a Villa Lubin), il valore del capitale umano uscito dal Paese nel 2011-24 pesa il 7,5% del Pil nazionale. Ma quando si guarda la quota sul Pil regionale, la classifica cambia faccia: la Calabria vola in alto, con 16,6% del Pil “bruciato” in termini di capitale umano che prende la strada dell’uscita. Davanti c’è solo l’Alto Adige (17%), dietro la Sicilia (15,1%). Tradotto: per una regione già stretta tra salari bassi, servizi fragili e opportunità limitate, perdere giovani significa perdere anche futuro economico.
Non è “gente che va”: sono numeri da esodo
Tra il 2011 e il 2024 hanno lasciato l’Italia 630mila giovani tra 18 e 34 anni. Il saldo netto è -441mila. Solo nel 2024 i giovani che hanno lasciato il Paese sono 78mila. E nel triennio 2022-24 la misura economica del fenomeno si impenna: l’aumento del numero e del grado di istruzione dei giovani emigrati porta il valore dell’uscita annua a 16 miliardi. In quota Pil, i picchi restano quelli delle aree più colpite: Alto Adige (1,7%), Calabria (1,6%), Molise (1,5%).
Donne in fuga: quando il divario di genere spinge a partire
Nel 2024 la quota femminile tra i giovani che lasciano l’Italia sale al 48,1% (rispetto al 46,6% medio 2011-24). Nel Mezzogiorno è più bassa (44,9%), ma il Rapporto segnala un elemento politicamente esplosivo: tra le donne che emigrano nel triennio 2022-24, le laureate sono 44,3%, contro il 40,1% dei maschi. E la differenza (donne più istruite che partono) è forte proprio al Sud: in Calabria lo scarto è di 8,4 punti (31,8% laureate tra le emigrate contro 23,4% tra gli emigrati). È il segnale di una scelta razionale: quando il divario di genere è più ampio e le carriere sono più strette, le giovani formate non aspettano il “poi”.
Il tasso di laureati tra chi parte resta basso
Altro paradosso: in media nel triennio 2022-24 i laureati tra i giovani emigrati sono 42,1%, in crescita rispetto al 33,8% del 2011-24. Ma tra le regioni, Calabria e Sicilia restano in fondo per quota di laureati tra chi parte: Calabria 27,2%, Sicilia 26,5%. Non significa che partano “meno bravi”. Significa che spesso parte chi può e deve lavorare, ma anche che la regione continua a scontare un nodo strutturale: pochi laureati nel bacino di partenza e poche traiettorie locali capaci di trattenerli o richiamarli.
Dal Sud al Nord: il “bancomat” del capitale umano (e la Calabria paga)
Dentro lo stesso periodo 2011-24, il Rapporto fotografa anche la migrazione interna: dal Mezzogiorno al Centro-Nord si sono trasferiti (al netto) 484mila giovani. Il Nord-Ovest assorbe la fetta maggiore (240mila), poi Nord-Est (163mila) e Centro (80mila).
Il valore economico di questo travaso di giovani dal Mezzogiorno al Nord viene stimato in 147 miliardi. E qui il “conto Calabria” torna: tra le regioni che perdono più capitale umano giovane nei movimenti interni, la Calabria registra una perdita stimata di 24 miliardi (dietro Campania, Sicilia e Puglia). Dall’altra parte, la Lombardia risulta la principale beneficiaria in valore.
La domanda che resta: chi paga (e chi incassa)
Il Rapporto stima il valore del capitale umano uscito come costo sostenuto dalle famiglie e, per la sola istruzione, dal settore pubblico, per crescere ed educare giovani che poi vanno altrove. In pratica: la Calabria (come il Sud) investe in formazione e crescita, ma troppo spesso il “rendimento” finisce fuori regione o fuori Paese. E allora la questione non è morale (“andate via”), è materiale: servizi, lavoro qualificato, salari, carriere, trasporti, case, asili, sanità territoriale. Se non si mette mano a queste leve, la fuga resta la scelta più razionale.




