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Rinascita Scott e le intercettazioni chiave su Pittelli, Delfino e Petrini. Il pm Frustaci: “Dicono tutto, altro che millanteria”

Il magistrato chiede alla Corte di appello di considerare ciò che in primo grado non ha trovato spazio e di valutarlo alla luce del “mondo cambiato” post 19 dicembre 2019

“Intercettazioni, fatti storici, atti già acquisiti: qui non c’è millanteria, c’è un dispiegamento di forze che attraversa più uffici giudiziari e racconta il cuore del concorso esterno.”Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro, dove si sta celebrando il processo bis “Rinascita Scott”, prosegue la sua requisitoria e rimette in fila nomi, date, progressivi, e “fatti storici” che secondo l’accusa, saldano reti relazionali e interventi “a tutto campo” per piegare le regole del gioco. 

Le intercettazioni sottovalutate

Sono intercettazioni che danno conto di come Giancarlo Pittelli (LEGGI) avesse interessato il giudice Marco Petrini. Passaggi che non compaiono in alcun modo nella fase cautelare” né “rappresentati alla Cassazione”, e tuttavia formano il nucleo del concorso esterno contestato. La fotografia accusatoria si poggia su date e sessioni: il 3 maggio 2019, progressivo 193, sessione 61, ore 12:53. In quel dialogo, riferisce il pm, l’imprenditore Rocco Delfino e Giancarlo Pittelli ragionano della causa imminente, della “memoria” da “preparare meglio”, del fatto che “ho parlato con il presidente… se la guarderà con molta cura”. Per l’accusa, quel “presidente” è Marco Petrini, identificato non solo per contesto ma per riscontri documentali “estensore di una sentenza del 25 gennaio 2007” su Delfino, e presidente della Sezione misure di prevenzione.

Il paradosso

La Dda insiste su un punto: “È un paradosso giuridico: acquisiti atti e progressivi di altri uffici, respinte intercettazioni provenienti dalla medesima telematica attiva.”  Catanzaro acquisisce progressivi dal distretto Reggino sulla vicenda Delfino–Pittelli–Petrini; Salerno riunisce i procedimenti; a Vibo il 6 maggio 2023, sostiene, vengono respinti due file audio che, a detta dell’accusa, avrebbero potuto essere valutati senza neppure trascrizione, perché “voce riconoscibile” di Pittelli e Rocco Delfino “in studio” sul tema Petrini. “Noi li abbiamo esibiti: audio e verbali. Il Tribunale ha potuto vagliare i progressivi reggini; su quelli catanzarese si è fermato.”

Il progressivo 235, sessione 66, 8 maggio 2019 apre un altro capitolo: l’idea di “interessare l’allora presidente del Consiglio di Stato ” su una interdittiva amministrativa. Qui l’accusa sottolinea due cose: “Il gip indica l’inconsapevolezza del presidente” e, soprattutto, la negazione interna alla stessa conversazione: “È lo stesso Pittelli ad escludere che il presidente si sarebbe prestato.” Il procuratore distingue: “Non c’è il ‘no scandalizzato’ alla richiesta del cliente; c’è il ‘no’ perché ‘il presidente non si presta’.” Un tratto che, nell’impianto dell’accusa, serve a mostrare la spinta a mobilitare contatti fin dove possibile, anche quando l’argine istituzionale regge.

“Quando non si può dire calunniatore si evoca la millanteria”

Frustaci anticipa la linea difensiva: “Quando non si può dire ‘calunniatore’, si evoca la ‘millanteria”. E replica: “Non può esserci millanteria nelle affermazioni a Rocco Delfino: prima di tutto, perché il processo ‘Genesi’, operazione del gennaio 2020, ha portato il giudice Petrini a una condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari; poi perché c’è un secondo filone con l’avvocato Marcello Manna, condannati entrambi in appello e un terzo in cui Petrini è imputato con Pittelli e Delfino.” La Procura richiama inoltre le dichiarazioni predibattimentali di Petrini del 25 febbraio 2020, poi ritrattate, dove il magistrato, secondo l’accusa, ammette che avrebbe dovuto assicurare una revisione in favore di Delfino: “C’era un dato intercettivo granitico anche prima del ‘discovering’ successivo.”

La consulenza balistica sull’omicidio Scopelliti

Qui il racconto si fa incandescente. Frustaci parla della “consulenza di natura balistica” richiesta, secondo l’accusa, in favore di Giuseppe “Pino” Piromalli sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Delfino viene accompagnato nello studio Pittelli. “Le missive del 41bis sono censurate, tranne quelle al difensore”, premette il pm, e poi sottolinea: “Pittelli fa da ‘postino’: la lettera, formalmente indirizzata a lui, veicola istruzioni a Delfino.” Il tema si sposta sul pagamento: “Sono 30mila euro: Pittelli suggerisce una parziale tracciabilità simbolica da 100-200 euro a un familiare; il grosso, per l’accusa, lo copre Delfino ‘sotto banco’.” Qui la Procura parla apertamente di “rafforzamento” attivo di interessi e difese per i vertici storici della ’ndrangheta.

“Il mondo è cambiato dal 19 dicembre 2019” 

“Dal 19 dicembre 2019 il mondo è cambiato: nuovi atti, nuove trasmissioni, nuove intercettazioni confluite nei decreti che dispongono il giudizio. Non si può far finta di niente.” È la base su cui il pm chiede alla Corte di guardare dentro i progressivi (dall’11 giugno 2018 all’8 maggio 2019), e di leggere gli snodi oggettivi: “Ho lasciato i fascicoli a Petrini… se li legge, mi dà l’ok.” Frustaci parla delle dichiarazioni ritrattate di Petrini e mensiona la parola “congrega” di magistrati e avvocati, che il giudice avrebbe usato in fase predibattimentale. “È la stessa parola di Andrea Mantella. Se la dice un collaboratore è ‘visionario’; se la dice un giudice, poi ritratta, allora diventa intoccabile. Ma resta il dato intercettivo granitico.” La Procura chiede di valutare complessivamente collaboratori, atti, audio, verbali, senza schiacciare il quadro su etichette difensive come “calunnia” e “millanteria”. “Mettere in campo tutto quello che ho”: la logica dell’accusa.

“Per Rocco lo faccio, per un altro cliente no”

In più punti Frustaci cita Pittelli che, parlando a Delfino, afferma: “Per Rocco lo faccio. Per un altro cliente direi di no. È una forzatura. Ma se posso mettere in campo le cose che ho, lo faccio.” E ancora, il passaggio sui 10mila euro da “investire” se l’appello è “fattibile”. È il tono, sottolinea il pm, di una strategia di ‘sfruttamento’ del background istituzionale per ottenere “un di più che non arriverebbe giocando lealmente”. Il filo rosso è il rafforzamento. “Se consulti prima il presidente e poi depositi; se ipotizzi una interlocuzione al Consiglio di Stato; se finanzi una consulenza balistica per un boss storico; se orienti percorsi amministrativi contro interdittive e white list, non sei sul campo dei diritti difensivi, ma su quello, dice l’accusa, di una potenza organizzativa che rafforza il sodalizio.”

 È qui che la Dda richiama le parole-chiavi delle conversazioni, “pigna”, “giuramento”, il “buon sangue non mente”, per rileggerle non come folklore ma codice di appartenenza. “Non è un processo alle intenzioni, né un derby di parole. È un esame di atti – intercettazioni, decreti, verbali – con tempi e luoghi precisi.” L’accusa chiede alla Corte di tenere dentro ciò che in primo grado, per ragioni processuali – non ha trovato spazio e di valutarlo alla luce del “mondo cambiato” post 19 dicembre 2019. 

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