29 Settembre 2025
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Sanità in Calabria, anatomia di un collasso annunciato: dati, atti e responsabilità (politiche) senza sconti

Quindici anni di piano di rientro, commissariamenti, blocco del turn over e definanziamento del Ssn hanno svuotato ospedali e territori. Più che ai malati la politica ha pensato ai conti

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Tra piano di rientro, commissariamenti, blocco del turn over e definanziamento nazionale del Sistema sanitario nazionale, la Calabria ha vissuto quindici anni di politiche che hanno svuotato ospedali e territori. La carenza di medici e infermieri non è un fulmine a ciel sereno: è il prodotto di scelte stratificate – dal numero chiuso ai tetti di spesa sul personale – che hanno reso impossibile programmare. E quando Roma ha provato a correggere la rotta col “Decreto Calabria”, era già tardi. Detto in parole semplici: in questi anni i conti sono stati più importanti dei malati e i tagli alla spesa inefficiente si sono rivelati per nulla chirurgici producendo il blocco degli organici, la scopertura dei reparti e la migrazione sanitaria fuori regione. Il resto – promesse, decreti, task force – è venuto dopo, quando il sistema era già in apnea.

Blocco del turn over: la scelta che ha svuotato i reparti

Il Piano di rientro firmato dalla Regione, allora guidata da Agazio Loiero, risale a fine del 2009. A Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi e il suo governo, il quarto è ultimo della serie, aprì le porte al commissariamento avviato nel 2010 con l’obbligo dei tetti di spesa e il blocco del turn over. Da quel momento ogni pensionamento diventa un vuoto strutturale. Le manovre nazionali successive – DL 78/2010 (Berlusconi) e DL 95/2012 (Monti) – consolidano i vincoli e peggiorano la situazione. L’Italia entra nella fase dell’austerity con la complicità del mainstream che sostiene l’era dello spending-review elogiando ogni tipo di sforbiciata. Purtroppo i tagli non riguarderanno solo gli sprechi ma anche i servizi essenziali. L’Italia se ne accorgerà una volta travolta dalla pandemia. In Calabria, i programmi operativi reiterano la stessa medicina: più equilibrio di bilancio, meno assunzioni. Risultato prevedibile: straordinari cronici, liste d’attesa infinite, territori senza medicina di prossimità. L’inizia tutto risale, in pratica, all’osannato governo tecnico guidato da Mario Monti, mandato a Palazzo Chigi con la regia dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quei tagli spregiudicati producono carenza di medici e infermieri, iniziano a svuotare gli ospedali e a creare file. Un buco che in un decennio diventa una voragine.

Medicina a numero chiuso e carenza di medici: l’imbuto che tutti hanno visto

La legge 264/1999 (governo D’Alema) aveva già introdotto il numero programmato d’accesso a Medicina scelta legittima se accompagnata da una filiera coerente di borse di specializzazione e da una programmazione regionale dei fabbisogni. Questo allineamento non c’è stato per anni. Le borse sono rimaste a lungo insufficienti e l’aumento massiccio è arrivato solo di recente: nel 2021 il Governo Draghi ha portato i contratti di specializzazione a 17.400, “il doppio di due anni prima”, ma l’effetto di un simile salto si vedrà tra pochi anni, quando quei giovani diventeranno specialisti e potranno prendere servizio nei reparti. Nel frattempo i vuoti di organico si sono allargati.

La fotografia nazionale conferma che la carenza è stata prevedibile: stime indipendenti indicano un deficit di specialisti significativo almeno fino al 2027, con il rischio opposto – la “pletora” – se il Sistema sanitario nazionale non assorbirà i nuovi formati dopo l’ondata di borse. È un paradosso da mancata programmazione: pochi posti per anni, poi tanti contratti senza un piano credibile di assunzioni, tutoraggio e carriere.

L’imbuto in Calabria tra concorsi deserti e contratti a gettone

In Calabria l’imbuto si vede in corsia e nei bandi: concorsi deserti, reparti che ripiegano sui gettone o su soluzioni tampone, e richiami straordinari a specializzandi per puntellare i Pronto soccorso degli hub di Catanzaro, Cosenza e Reggio. Gli atti ufficiali documentano bandi ripetuti (anche in nefrologia a Vibo Valentia) e procedure andate a vuoto o coperte solo in parte; la cronaca sanitaria locale registra ospedali come Locri costretti a reggersi su turni minimi.

Il resto lo fanno retribuzioni poco competitive, carichi di lavoro insostenibili nelle aree più critiche e tempi lunghi tra bando, graduatoria e assunzione. Con questo mix, i professionisti scelgono altre regioni o l’estero; chi resta spesso preferisce il privato o l’attività a prestazione. Finché non si riallineano accessi universitari, borse, fabbisogni regionali e politiche del personale (tutele, progressioni, turni e indennità), l’imbuto continuerà a strozzare i reparti e a trasformare ogni concorso in una lotteria per pochi candidati.

Spending review e tagli lineari

Il dato-chiave è nei numeri: tra 2010 e 2019 al Sistema sanitario nazionale sono stati sottratti circa 37 miliardi fra tagli e minori finanziamenti; in tutto il decennio il Fondo sanitario nazionale è cresciuto appena di 8,8 miliardi, meno dell’inflazione. Significa meno potere d’acquisto per ospedali e territori, con particolare impatto dove la spesa era già vigilata dai tavoli ministeriali. La Calabria – in piano di rientro e commissariata – ha subito una doppia stretta: definanziamento nazionale e tetti locali sulla spesa di personale. È la cornice che rende strutturali carenze, liste d’attesa, fuga di professionisti.

I meccanismi sono scritti nelle norme: il DL 78/2010 (governo Berlusconi IV) introduce una stagione di contenimento della spesa pubblica che, nelle Regioni in rientro, si traduce in vincoli rigidi sul personale e sugli acquisti; il DL 95/2012 (governo Monti) – la vera spending review – impone riduzioni e tetti (tra cui quelli a farmaci e dispositivi medici), spingendo ulteriormente verso la compressione strutturale dei costi.

I governi successivi (Letta, Renzi, Gentiloni) non invertono la curva; durante la pandemia Conte I–II e Draghi immettono risorse straordinarie che però non trasformano in modo stabile gli organici. Con Meloni l’orizzonte resta l’equilibrio dei conti più che la densità assistenziale. Tutto tracciato in leggi, relazioni parlamentari e dossier tecnici. A prova di smentita.

Tagli alla sanità: quando il “risanamento” diventa rinuncia

Nel concreto calabrese “taglio” ha significato posti letto ridotti, reparti accorpati, ambulanze e mezzi insufficienti, medici di base e pediatri carenti in intere aree interne. La retorica dell’“efficienza” ha coperto una verità elementare: se definanzi il sistema e imponi tetti al personale, eroghi meno cure. E quando – tardi – provi a riaprire il rubinetto, la filiera formativa (laurea, specializzazione, tutoraggio) è già in secca: non trovi professionisti da assumere, i concorsi vanno deserti o si coprono a macchia. I rapporti Gimbe e le analisi istituzionali collocano la Calabria tra i territori più penalizzati proprio per l’interazione tra spending review e commissariamento.

Il fallimento dei commissari: poteri straordinari, risultati ordinari

La sequenza amministrativa è nota: da Giuseppe Scopelliti (presidente–commissario) a Massimo Scura (2015), Saverio Cotticelli (2018), il lampo Giuseppe Zuccatelli e quindi Guido Longo e dal 4 novembre 2021 Roberto Occhiuto (presidente–commissario). Cambiano i nomi, non la sostanza: tetti invariati o allentati a singhiozzo, concorsi lenti, reti ospedaliere incompiute, Lea altalenanti. Il “Decreto Calabria” (DL 35/2019, governo Conte I) ha ampliato i poteri commissariali e promesso lo sblocco delle assunzioni: ma una macchina amministrativa arrugginita e il mercato del lavoro scarso hanno neutralizzato la leva normativa.

La responsabilità politica, in fila e per esteso

Il perimetro delle scelte è bilivello. Roma ha definito i vincoli: Berlusconi IV avvia la stretta (DL 78/2010), Monti la irrigidisce e la peggiora (DL 95/2012), i governi Letta–Renzi–Gentiloni non cambiano la traiettoria della spesa, Conte I–II e Draghi finanziano l’emergenza senza consolidare gli organici, Meloni mantiene una linea di compatibilità finanziaria. Catanzaro li ha applicati sotto commissariamento, senza trasformarli in personale al letto del paziente: da Scopelliti a Scura, Cotticelli, Zuccatelli, Longo, fino a Occhiuto presidente–commissario, i Programmi operativi hanno privilegiato i saldi rispetto alla capacità produttiva di ospedali e territorio. La somma di queste decisioni – documentate e firmate – spiega il collasso.

La lezione (amara)

Se blocchi il turn over, mantieni numero chiuso senza borse adeguate e pratichi tagli lineari, ottieni ospedali vuoti e pazienti in fila. Uscirne non è propaganda: va blindata la spesa di personale dalle prossime spending review; vanno rese attrattive le sedi disagiate (indennità, carriere, alloggi); vanno stabilizzati i precari e accelerate le procedure; va finanziato il tutoraggio clinico per far crescere in fretta gli specialisti; va ricostruita la medicina territoriale per togliere pressione agli ospedali. Senza questi pilastri, ogni nuovo decreto sarà solo un’altra pezza contabile.

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