8 Settembre 2025
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Calabria

Rom e ’ndrangheta, la Calabria che non si vuole vedere: quando l’integrazione fallisce e la criminalità etnica dilaga

Dal "Bronx" di viale Isonzo a Scordovillo, da Arghillà a Cassano allo Ionio crescono le enclave rom fuori controllo. Una nuova criminalità fatta di marginalità e violenza, dove il confine tra disperazione e mafia è diventato una linea invisibile ma letale

C’è una Calabria che si ostina a restare cieca. Cieca davanti ai ghetti urbani trasformati in roccaforti del crimine. Cieca davanti ai bambini rom che non vanno a scuola e finiscono a fare le vedette per lo spaccio. Cieca davanti alla saldatura sempre più salda tra una ’ndrangheta feroce e quei clan rom che, da subordinati, sono diventati alleati, e in alcuni casi rivali.

Mentre i riflettori si spengono e i fondi europei si disperdono, quartieri come viale Isonzo a Catanzaro, Scordovillo a Lamezia, Arghillà a Reggio Calabria e Cassano allo Ionio nella Sibaritide diventano zone franche, bombe sociali, esperimenti criminali a cielo aperto. Questo reportage racconta ciò che in molti fingono di non vedere: una nuova mafia etnica, nata da un’integrazione mai realizzata e da uno Stato che troppo a lungo ha voltato lo sguardo.

Catanzaro e il Bronx di viale Isonzo, capitale rom d’Italia

A Catanzaro, la città con la più alta percentuale di popolazione rom in Italia – circa il 7% su meno di 90mila abitanti – l’esperimento di convivenza si è rovesciato in un incubo urbano. Gli anni ’80 dovevano segnare la fine delle baraccopoli e l’inizio dell’inclusione: si costruirono palazzi popolari nei quartieri sud, viale Isonzo, Aranceto, Pistoia, Corvo, per ospitare famiglie rom stabilizzate. Oggi quella zona è nota come il “Bronx” di Catanzaro. Uno Stato parallelo, dove droga, armi, furti e cavalli di ritorno vengono gestiti alla luce del sole.

Le inchieste della Dda di Catanzaro hanno certificato la mutazione: non più solo manovalanza per lo spaccio di droga “appaltato” dalle cosche, ma veri clan satellite della potente ’ndrangheta crotonese. In particolare, come emerge da diverse attività investigative, il clan Gaglianesi avrebbe stretto un patto operativo con famiglie criminali rom per il controllo dello spaccio e delle estorsioni. Nel blitz del febbraio 2025 sono scattati 22 arresti. Il rischio? Una nuova mafia etnica, armata e radicata, che agisce con la legittimazione delle ’ndrine.

Scordovillo, trent’anni di vergogna e un campo diventato fortino

A Lamezia Terme, il caso di Scordovillo è diverso solo nella forma. Una baraccopoli nata trent’anni fa, mai smantellata, trasformata in bomba ecologica e santuario criminale. Circa 1.000 persone, rifiuti ovunque, incendi tossici, minorenni senza scuola e adulti senza lavoro. Le indagini della Guardia di Finanza hanno rivelato come il campo fosse usato per stoccare armi e droga, con veri bunker sotterranei e una rete di vedette. Nell’operazione del 2023 sono finiti in manette 49 affiliati, per lo più legati alle cosche Giampà.

Oggi lo Stato prova a reagire. È partito un piano da 8 milioni di euro, finanziato da Regione Calabria, Comune e Prefettura, per superare il campo e favorire l’“abitare diffuso”. Nessuna ricollocazione di massa, ma alloggi dignitosi distribuiti sul territorio, con percorsi educativi per i minori, formazione professionale e mediazione culturale. «Eliminiamo un ghetto, ma senza crearne un altro», ha detto il prefetto.

Arghillà e Ciccarello: le periferie armate di Reggio Calabria

A Reggio Calabria, l’urbanistica del disagio ha prodotto due “casi scuola”: Arghillà, a nord, e Ciccarello/Marconi, a sud. Entrambi popolati da famiglie rom e teatro di un’escalation di criminalità predatoria. Arghillà è dominata da clan rom alleati dei Condello e dei Rugolino. Spaccio, armi, ricettazione. Le case popolari diventano covi di arsenali, i minori sono reclutati come vedette, la polizia fatica ad entrare.

A sud, Cosimo Berlingieri, detto “il pappagallo”, regna su Ciccarello come boss rom organico alla ’ndrangheta. La sua carriera criminale è documentata da una condanna a 10 anni per associazione mafiosa. Le cosche storiche utilizzano questi gruppi come braccio armato per estorsioni, incendi e intimidazioni. Secondo la Dda reggina, «le bande rom si muovono con spavalderia e impunità, attraversando la città con veicoli rubati».

La Sibaritide e la guerra tra cosche “italiane” e clan rom

Nella Piana di Sibari, la guerra non è solo sociale ma anche militare. I cosiddetti “zingari” di Cassano allo Ionio, termine ricorrente nelle carte giudiziarie, sono oggi una cosca a tutti gli effetti. Dopo faide sanguinose negli anni ’90 e 2000 contro i Forastefano, il clan Abbruzzese ha ottenuto rispetto, territorio e accesso ai grandi traffici di droga.

Oggi la Sibaritide è spaccata: da un lato i “rom”, dall’altro le cosche cosentine tradizionali. La tensione è tornata alle stelle dal 2018, con una sequenza di omicidi irrisolti. Secondo la Dda, il clan rom di Cassano è ormai egemone, costringendo i rivali a rifornirsi da loro. La “mafia rom” non è più una minaccia isolata, ma un soggetto criminale strutturato.

Integrazione fallita, ghettizzazione mafiosa: come uscire dal tunnel

Il filo rosso di tutte queste storie è uno solo: esclusione sociale. Quartieri abbandonati, baraccopoli tollerate, dispersione scolastica, disoccupazione totale, assenza dello Stato. Così nasce la saldatura tra rom e ’ndrangheta: reciproca utilità, “do ut des” criminale. E quando lo Stato sparisce, la mafia occupa il vuoto.

Le operazioni repressive sono necessarie, ma insufficienti. Dopo ogni blitz, se non seguono interventi strutturali, tutto torna com’era. Serve una strategia integrata: housing sociale diffuso, polizia di quartiere, scuola obbligatoria, formazione al lavoro, coinvolgimento delle donne, presidi culturali nei quartieri, sgombero dei rifiuti e delle armi.

Il piano di Lamezia può diventare un modello, ma va replicato ovunque. A Catanzaro, l’amministrazione ha annunciato una riqualificazione di viale Isonzo, ma serve più coraggio e velocità. A Reggio, i progetti su Arghillà vanno sbloccati e rafforzati.

Il dovere di rendere visibile l’invisibile

Lo ha detto il procuratore Salvatore Curcio: «Prima di combattere le mafie, bisogna sradicare la cultura mafiosa». Questo vale anche per i quartieri rom: vanno coinvolti, non isolati. Considerare i rom solo un problema di ordine pubblico ha prodotto odio, rancore e violenza. Bisogna cambiare rotta, prima che sia troppo tardi. Come recita un proverbio rom: “ciò che non vedono gli occhi, non lo piange il cuore”.

Per evitare che nasca una nuova mafia familiare ed etnica, difficile da penetrare e da estirpare, bisogna guardare davvero, ascoltare, agire. E farlo ora, con quella “straordinaria ordinarietà” che chiede una presenza costante e integrata dello Stato.

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