C’è un prima e un dopo nella vita di Stefano Tacconi. Il prima è quello del calcio leggendario, delle notti di Coppa e delle glorie in bianconero. Il dopo, invece, è il tempo della rinascita, della sofferenza e della fede. Tacconi ha raccontato entrambe le sue vite davanti a centinaia di studenti nell’auditorium del Valentianum, durante l’ultima giornata del Festival del Sud, la kermesse organizzata dall’associazione Valentia a Vibo Valentia. Presentando il suo libro “L’arte di parare”, l’ex portiere della Juventus ha emozionato e fatto piangere la platea, accompagnato dalla moglie Laura Speranza, che da tre anni non lo lascia mai solo.
Dallo stadio Heysel a San Giovanni Rotondo
Nel primo tempo della sua vita, Tacconi è stato un simbolo del calcio vero, quello degli anni Ottanta, quando la Serie A era “il campionato più bello del mondo”.
Dal 1983 al 1992 ha difeso i pali della Juventus, raccogliendo l’eredità di Dino Zoff e giocando al fianco di leggende come Michel Platini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli e Gianluca Vialli. Con loro ha vinto tutto: Scudetti, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.
Poi, il 23 aprile 2022, la vita si ferma. Un aneurisma cerebrale lo colpisce all’improvviso, poco dopo un evento di beneficenza. “Mi sono salvato grazie a mio figlio Andrea – ha raccontato – che ha capito subito cosa stava succedendo e ha agito con sangue freddo. Senza di lui, forse oggi non sarei qui”.
Da lì inizia un viaggio diverso, tra ospedali, fisioterapie e fede. “Ho vissuto una geografia nuova – dice – da Asti ad Alessandria, da Milano a San Giovanni Rotondo. Ogni tappa è stata una partita da vincere, ogni giorno un allenamento con allenatori speciali: medici e infermieri”.
“Oggi sono più sensibile. E ho imparato a piangere”
Sul palco di Vibo, Tacconi non parla solo di sport. Parla di vita, di cadute e ripartenze. Di un uomo che ha dovuto imparare tutto da capo: camminare, parlare, respirare.
“Oggi sono diventato molto più sensibile – confessa –. Ho avuto anche la possibilità di piangere, che prima non avevo. Adesso invece ringrazio Dio: è giusto piangere, come diceva l’avvocato Agnelli, altrimenti non si è nessuno. È un’esperienza importante, che non auguro a nessuno, ma fare fatica dà più soddisfazione quando si ottengono risultati”.
La fede, la moglie e Padre Pio
“Padre Pio mi ha aiutato – prosegue Tacconi –. A San Giovanni Rotondo si respira una fede importante, e spero che ci sia stata anche una sua mano nel farmi tornare a vivere serenamente con la mia famiglia”. E aggiunge, con un sorriso riconoscente: “Mia moglie Laura è devota da tanti anni, credo che anche le sue preghiere siano state fondamentali. Speriamo che sia stato così”.