5 Agosto 2025
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Calabria

Interdittiva antimafia ignorata a Pizzo e locale di un pregiudicato resta aperto. Chi ha paura di chiuderlo? 

Il provvedimento, notificato via PEC, non avrebbe prodotto la chiusura dell'attività. Solito rimbalzo di responsabilità e timori legati alla sicurezza di chi deve eseguire l'ordine. La Prefettura chiede chiarimenti

Un esercizio commerciale del centro storico continua ad operare nonostante un provvedimento interdittivo emesso dalla Prefettura. Il titolare di fatto è un pregiudicato ritenuto pericoloso, ma nessuno — né Comune, né forze dell’ordine — ha eseguito la chiusura. È quanto sta accadendo a Pizzo, uno dei Comuni già epicentro di Rinascita Scott, la colossale inchiesta sfociata poi nel maxi processo alla ‘ndrangheta.

La vicenda: interdittiva antimafia nel cuore di Pizzo

Secondo quanto risulta da fonti qualificate, la vicenda ha inizio nel maggio del 2024, quando la Prefettura di Vibo Valentia, a seguito dell’iter previsto dalla normativa antimafia, emette un’interdittiva nei confronti del titolare legale di un esercizio commerciale situato nel centro storico di Pizzo.

Il provvedimento, basato su accertamenti documentali e relazioni delle forze dell’ordine, si fonda sul fatto che la gestione effettiva dell’attività commerciale risulterebbe riconducibile a un soggetto con precedenti penali e già condannato in via definitiva. Nelle informative si farebbe riferimento a una presunta pericolosità sociale, unita a una forte capacità intimidatoria. Si tratta di elementi che, in base alla giurisprudenza consolidata, giustificano l’applicazione della misura a scopo preventivo, non punitivo.

Notifica via PEC e assenza di chiusura effettiva

Nonostante l’interdittiva sia stata formalmente inoltrata al Comune per la notifica e gli adempimenti conseguenti, vi sarebbe stato un rimpallo di competenze tra enti, che avrebbe determinato ritardi nella comunicazione. Alla fine, secondo fonti comunali, la notifica sarebbe avvenuta via PEC, modalità prevista dalla normativa ma non abituale per provvedimenti così rilevanti sul piano della sicurezza pubblica.

Da quel momento, però, l’attività commerciale non risulta essere stata chiusa. Circostanza che risulterebbe incongruente rispetto al contenuto dell’interdittiva stessa, che implica la revoca della licenza e la cessazione dell’attività.

Disturbo, musica, occupazione del suolo: le lamentele dei residenti

Dalle segnalazioni di alcuni cittadini, il locale in questione avrebbe continuato regolarmente l’attività anche dopo la notifica, e anzi — stando a quanto riferito da fonti del posto — il clima attorno al locale si sarebbe fatto più “ostentato” e “spavaldo”, con musica ad alto volume in orari notturni, occupazione non autorizzata di suolo pubblico e presunti comportamenti provocatori nei confronti di chi sollevava obiezioni.

Non risultano, allo stato, provvedimenti sanzionatori effettivi da parte degli uffici competenti, nonostante le segnalazioni. L’Amministrazione comunale, interpellata informalmente, avrebbe giustificato l’assenza di interventi con la pendenza di ricorsi amministrativi, che però  risulterebbero oggi conclusi con rigetto.

Il paradosso della detenzione domiciliare nella stessa attività colpita da interdittiva

A complicare ulteriormente la vicenda, vi è un aspetto che ha sollevato interrogativi tra cittadini e operatori del diritto: il soggetto indicato nelle informative come gestore di fatto dell’attività commerciale è stato successivamente destinatario di una condanna definitiva, per reati diversi e antecedenti all’interdittiva.

Stando a quanto trapelato, l’interessato avrebbe ottenuto la possibilità di scontare la pena in detenzione domiciliare, con permesso di lavorare parzialmente proprio presso l’attività oggetto dell’interdittiva. Secondo quanto risulta, i controlli di sorveglianza effettuati dai Carabinieri della Stazione locale ne avrebbero regolarmente certificato la presenza sul posto di lavoro, verificando contestualmente che il locale risultava ancora aperto.

Un paradosso giuridico e amministrativo, che — pur essendo tecnicamente legittimo se nessuna chiusura è stata disposta — stride con il principio sotteso alle misure antimafia preventive.

Chi a paura di chiudere il locale? 

Uno degli aspetti più delicati riguarda le ragioni non ufficiali dell’inazione amministrativa. Secondo indiscrezioni raccolte in ambienti municipali, la Polizia locale avrebbe dichiarato di temere ritorsioni o conseguenze personali in caso di intervento diretto. Voci analoghe si rincorrono anche in merito a un presunto clima di prudenza e timore da parte di altri funzionari, inclusi i vertici della stessa Polizia locale delegata ad eseguire il provvedimento.

La Prefettura chiede spiegazioni

A distanza di circa un anno, nel 2025, la stessa Prefettura di Vibo Valentia  avrebbe formalmente richiesto chiarimenti al Comune circa la mancata esecuzione del provvedimento e la comunicazione si sarebbe resa necessaria dopo reiterate segnalazioni informali.

Nessun riscontro concreto risulta ancora pervenuto, almeno pubblicamente. E l’attività continua a essere operativa, secondo quanto rilevato da controlli sul territorio.

Un Comune segnato dal passato: la memoria di Callipo e le assoluzioni definitive

La vicenda assume contorni ancora più significativi se si considera il recente passato del Comune di Pizzo. Nel 2020, infatti, l’ente fu commissariato in seguito all’arresto dell’ex sindaco Gianluca Callipo e dell’allora comandante della Polizia municipale nell’ambito di Rinascita Scott. Inchiesta che si è conclusa con l’assoluzione definitiva di entrambi.

Una storia che, per molti cittadini, rappresenta l’altra faccia della giustizia: da un lato, provvedimenti cautelari rivelatisi infondati, dall’altro, misure antimafia rimaste lettera morta, con effetti pratici opposti a quelli voluti.

Domande aperte e Stato silente

Il caso dell’interdittiva di Pizzo pone interrogativi profondi sul funzionamento della prevenzione antimafia in territori ad alta vulnerabilità. È legittimo chiedersi: perché  un provvedimento interdittivo non è stato eseguito? Quali ostacoli oggettivi impediscono l’intervento degli uffici preposti? È accettabile che l’inerzia amministrativa produca un effetto contrario alla legalità? 

E soprattutto: quale messaggio riceve il cittadino comune, che ogni giorno è chiamato a rispettare le regole, se poi le istituzioni per prime non riescono — o non vogliono — applicarle?

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