“Ognuno di noi ha una storia da raccontare e la mia inizia con un codice rosso, che parla di abusi indicibili, spinte brutali, di botte, pugni che hanno riempito il mio corpo di lividi. Il femminicidio non è solo quando togli la vita ad una donna, ma quando la distruggi dentro, quando le annienti la dignità, le manchi di rispetto, quando ne cancelli la struttura morale. Ho imparato, a mie spese, che non si può tacere la violenza subita e voglio dire alle donne fate rumore, fate tanto rumore, perché io sono stata in silenzio per 12 anni, 11 mesi e 23 giorni e quel silenzio ha racchiuso infiniti suoni di dolore”.
Le catene spezzate
Vuole dare voce a chi non ne ha, spezzando le catene della paura e del pregiudizio Rosita Gentile, 57 anni di Soverato, raccontando a Calabria7 la spirale di sopraffazione subita da chi diceva di amarla. Una storia di violenza e vessazioni, durata all’incirca dal 2012 al 2024, diventata cronaca giudiziaria, nel momento in cui ha deciso di denunciare tutto ai carabinieri, una denuncia che ha fatto scattare l’inchiesta della Procura di Catanzaro nei confronti di Mario Gregoraci, padre della conduttrice televisiva e della showgirl Elisabetta Gregoraci, indagato per maltrattamenti e stalking. Un’ipotesi di accusa, ancora tutta da provare in aula e rispetto alla quale adesso il 75nne rischia il processo (LEGGI).
Minacciata con un coltello puntato in gola e massacrata di lividi
“Ho conosciuto Mario a Soverato, io passeggiavo e lui si è presentato un po’ come il principe azzurro, colui che mi proteggeva dalla pioggia, che mi diceva di pensarmi sempre, che ero unica, che solo io riuscivo a capirlo. Nel tempo la maschera è caduta e lui ha rivelato il suo vero volto”. Iniziano i dissidi sorti per futili motivi, aggravati da una gelosia accecante, basata sul nulla, discussioni che degenerano in prevaricazioni, minacce di morte, anche con un coltello puntato in gola. Sono tanti gli episodi indelebili nella mente di Rosita che a stento riesce ad esternare. Ricorda quando lui l’ha aggredita davanti al cancello di casa, massacrata di schiaffi con i lividi che restavano lì sulla sua pelle per giorni, presa dai capelli, strattonata da una parte all’altra della stanza, presa dalla testa e sbattuta sul piano cottura e poi le offese “tu non sei niente”, mentre Rosita si asciugava il sangue tenendosi il braccio dolorante. “Si comportava così per ottenere da me due cose, chiudermi la bocca e farmi stare in casa e per evitare di dire qualsiasi cosa potesse scatenare la sua collera, mi chiudevo nel mutismo, non replicavo, ero stanca di sputare sangue. Ma questo non bastava, continuava a spingermi. Mi seguiva ovunque, mi faceva videochiamate per sapere dove fossi, minacciava di tagliarmi i vestiti con la forbice, non ho dato mai adito a nulla, io lo amavo incondizionatamente, lo rispettavo e per me era tutto”.
Presa a pugni sulla schiena: “Devi morire”
Racconta quando in macchina lui le ha lanciato la borsa sul cruscotto e nell’abbassarsi per raccogliere tutto, il 75enne le ha sferrato pugni sulla schiena, urlandole: “è tutta colpa tua se siamo arrivati a questo, meglio di te la trovo alla curva di Copanello”. Rosita capisce di essere finita in un labirinto, si guarda allo specchio e non si vede più, si sente invisibile, l’ultima delle donne, ma spera ancora in suo cambiamento, ancorata all’idea di un lui diverso: “Mi diceva tu devi morire, alla scordata ti uccido, non posso vivere né con te né senza di te e quindi alla scordata ti porto con me, perché io non ho poi così tanto da perdere, anzi non ho più niente da perdere”.
Speranze svanite
Esasperata parte in Canada per chiudere un capitolo doloroso della sua vita: “L’ho lasciato, non ce la facevo più, gli dicevo non sono la tua puttana, non sono la tua badante”. Dopo tre mesi rientra in Calabria, lui la ricerca e lei pensa di trovarsi di fronte una persona cambiata, che aveva capito gli errori commessi: “Mi ha portato su quella collina dove mi aveva fatto mille promesse e da lì abbiamo ricominciato. Ho sperato invano che lui avesse capito”.
Picchiata in gravidanza
Poi l’episodio più crudele da mandare giù accade quando lei rimane incinta: “Mario era andato in farmacia per farmi ripetere il test, mi disse che me ne dovevo liberare”. Rosita vuole quel bambino, pronta a crescerlo da sola, d’altronde è una stilista, una fashion designer, che ha calcato passerelle e vinto vari premi ed è anche un imprenditrice, non ha bisogno certo di soldi per andare avanti: “Non ti preoccupare grazie a Dio posso mantenerlo, io non ti obbligherò mai a fare niente, ma non abortirò, a quel punto si calmò, mi diceva se vuoi tenerlo, me ne lavo le mani”. Poi di nuovo le discussioni accese e le aggressioni fisiche, un copione, sempre uguale a se stesso che Rosita ha già vissuto tante volte, troppe: “Mi ha picchiato mentre ero in gravidanza, mi dette una spinta talmente forte che andai a sbattere col fianco sul bracciolo del divano, sono caduta a terra e ricordo che sentii solo un calore lungo la gamba, a quel punto lui ha sbattuto la porta ed è andato via. Nel giro di un paio di giorni ho perso il bambino”.
“Non ho più paura di vivere”
Oggi Rosita non è più la stessa donna di prima, nella sua vita sa che non dovrà mai più confondere “la luce dei lampioni con la luna”, non ha più paura di vivere e chiede alla donne maltrattate, umiliate dagli uomini di alzare la voce, di avere coraggio e “di unirsi a lei il 5 novembre, giorno in cui è fissata l’udienza preliminare a Palazzo Ferlaino per dire basta ad ogni forma di violenza”.












