15 Ottobre 2025
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A Catanzaro imprese foraggiate dai Gaglianesi, il pentito Mirarchi: “Anche un commercialista a disposizione del clan”

Gli accordi tra il clan di Gagliano e gli Arena, il business delle estorsioni, delle truffe e del riciclaggio in due interrogatori del collaboratore di giustizia agli atti dell'inchiesta “Clean Money”

Dall’usura, alle estorsioni agli imprenditori, alle truffe, al riciclaggio in nome della ‘ndrangheta di Gagliano. Un business criminale svelato dal collaboratore di giustizia Santino Mirarchi alla Dda di Catanzaro in due interrogatori, riportati nell’informativa del Reparto operativo del Nucleo dei carabinieri di Catanzaro e confluiti agli atti dell’inchiesta “Clean Money”, che ha portato il 27 febbraio scorso all’arresto di 22 indagati, tra sodali e affiliati al clan dei Gaglianesi. Il pentito davanti al magistrato antimafia Veronica Calcagno il 3 giugno 2020 indica i nomi e i cognomi degli accoliti dell’organizzazione criminale radicata a Catanzaro, ad iniziare da Pietro Procopio “U Biondu”, condannato più volte per associazione a delinquere di tipo mafioso, storicamente affiliato al clan, la cui ascesa criminale per gli inquirenti si è consolidata nel tempo con la sua capacità di accumulare somme di denaro in modo illecito, ripulendo i soldi con attività imprenditoriali, direttamente o indirettamente riconducibili a lui, seppur fittiziamente intestate a terzi. 

Dalle estorsioni alle scommesse 

Mirarchi cita anche Maurizio Sabato, detto “U cavaliere”, Cosimo Abbruzzese “u Tubu”, Lorenzo Iiritano e Vitaliano Cannistrà, alias “U Buffone”. Tutti, a suo dire, dediti alle estorsioni sul territorio di Catanzaro fino al 2014, anno in cui “si era creata un po’ di confusione a causa del ruolo rivestito da Gennaro Mellea, detto Pierino. Gli imprenditori non sapevano a quale gruppo criminale pagare le estorsioni se ai Gaglianesi, guidato da Mellea o a chi era radicato a Isola Capo Rizzuto, per tale motivo, gli imprenditori avevano deciso di recarsi direttamente ad Isola”. Mirarchi spiega che Procopio si era accordato con gli Arena, “quelli di Isola”, di rinunciare alle estorsioni per dedicarsi alle scommesse, aprendo alcune agenzie, il cui ricavato sarebbe andato al “capo di Gagliano” Girolamo Costanzo. Precisa che il tutto era stato deciso da lui e dal gruppo Arena, “ricevevano le estorsioni dai locali all’interno dei quali venivano gestite le scommesse che si poggiavano alla piattaforma riconducibile a Procopio”. Riferisce di una riunione tenutasi nel 2014, dove lo stesso Mirarchi, Procopio, Iiritano, Sabato, Cannistrà decidevano che gli Arena avrebbero gestito tutte le estorsioni, “anche se alla fine quelle più piccole venivano lasciate al clan dei Gaglianesi”. 

Il commercialista a disposizione del clan

Cita un ristorante ubicato nel quartiere Lido che dal 2004 al 2008 era gestito da una persona che, oltre ad essere in società con Procopio, partecipava anche a molte riunioni, “aveva un fuoristrada modello Santafé o Tucson. Spesso entrambi si incontravano a Catanzaro Lido all’interno dello studio di un commercialista che gestiva le attività commerciali di Procopio, a disposizione del clan, pur formalmente affiliato, “ma percepiva somme di denaro e partecipava a dei banchetti organizzati fra gli affiliati. Per le truffe si faceva aiutare da lui”. Il pentito nell’interrogatorio del 24 maggio 2023, definisce Procopio un fedelissimo di Girolamo Costanzo, precisando che con l’operazione “Revenge” e il conseguente arresto aveva iniziato a prendere le distanze da loro, “ma solo agli occhi della giustizia” non si faceva vedere in giro con gli amici del clan. “Infatti, dal 2007-2008, non aveva voluto più saperne delle estorsioni che venivano gestite dal clan dei Gaglianesi e iniziò a fare i pacchi, bidoni”. 

Il modus operandi di Procopio, a detta di Mirarchi era quello di  aprire le aziende inserendo all’interno dei ragazzi disagiati incentivandoli con del denaro: “l’azienda funzionava per uno, due anni e, dopo, falliva, ed infine il malpagatore risultava la persona a cui era intestata la società. Aziende, nella maggiore parte dei casi, dediti all’edilizia, al commercio di condizionatori e caldaie. La merce veniva venduta ad una persona con un’attività nel quartiere Bellino di Catanzaro Lido e riciclava i soldi sia per i “Gaglianesi” che per gli Iannazzo”. Riferisce di capannoni in fitto in via Lucrezia della Valle, dove Procopio aveva altre attività, per le quali ordinava materiali pagati almeno in un primo momento, giusto il tempo di conquistare la fiducia delle aziende per poi truffarle e “una bella percentuale delle truffe di Procopio va ai Gaglianesi”. 

Le imprese foraggiate dai Gaglianesi

Mirarchi confessa al pm l’esistenza di molti imprenditori di Catanzaro che davano una percentuale ai Gaglianesi sui lavori effettuati e ne cita due specializzati nel settore edile: “quando cominciarono a diventare più “grossi”, per poter continuare ad eseguire dei lavori, furono costretti a pagare l’estorsione alla famiglia Costanzo, a Procopio a Lorenzo Iiritano.  Dopo il boom delle costruzioni  nel quartiere Gagliano di Catanzaro, i guadagni erano diminuiti e questi imprenditori cominciavano ad avere problemi di natura economica, fino a quando furono costretti a chiedere favori alla famiglia Costanzo per poter lavorare; i Gaglianesi, quindi, cominciarono a finanziare l’impresa facendola diventare un’impresa della famiglia “Costanzo”. Il collaboratore di giustizia menziona anche un imprenditore di Lido, il cui locale era gestito con i soldi dei Gaglianesi.  E quando si davano soldi in prestito l’usura era assicurata, se ne occupava personalmente Pietro Procopio, che aveva disponibilità di capitale liquido: “una parte dei guadagni, andava sempre alla famiglia Costanzo” e  la famiglia Arena, rimaneva sempre informata sugli eventuali prestiti di Procopio agli imprenditori, sottolineando che il tramite tra la famiglia Arena e U Biondu era ‘l’autista’ Nicola De Vito”. 

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