Dopo una camera di consiglio durata circa due ore, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro (presidente Piero Santese, giudice a latere Elvezia
Cordasco) hanno pronunciato la sentenza nel cosiddetto filone omicidi del maxi-processo Rinascita Scott, uno dei più importanti procedimenti contro la ’ndrangheta vibonese. Confermato l’ergastolo per Domenico Bonavota, ritenuto il boss di Sant’Onofrio e figura apicale dell’omonimo clan, già condannato in primo grado per l’agguato di Vallelonga del 9 febbraio 2002, nel quale furono uccisi Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano.
Diverso, invece, l’esito per altri due imputati di vertice: Saverio Razionale, boss di San Gregorio d’Ippona (difeso dagli avvocati Nico D’Ascola e Giuseppe Monteleone), e Giuseppe Antonio Accorinti, capo di Zungri (difeso dall’avvocato Luca Cianferoni). Per entrambi, la Corte ha riformato la sentenza di primo grado, escludendo la premeditazione e riducendo la pena dall’ergastolo a 30 anni di reclusione.
Unico assolto: Antonio Ierullo
Assoluzione piena, invece, per Antonio Ierullo (difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Sergio Rotundo), imputato per concorso nell’omicidio Cracolici-Furlano e considerato basista del gruppo. La Corte ha accolto la linea difensiva, secondo cui gli elementi indiziari a suo carico non avrebbero superato la soglia della ragionevole certezza, disponendo quindi la sua assoluzione con formula piena.
Pene ridotte per Vacatello, Garisto e Navarra
Riforme e sconti di pena anche per gli imputati del sequestro di Rocco Ursino, avvenuto tra Lombardia e Calabria. Per Antonio Vacatello, Maurizio Pantaleo Garisto e Valerio Navarra la Corte ha rideterminato le pene al ribasso rispetto al primo grado, riconoscendo parzialmente le tesi difensive e confermando l’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Vacatello (difeso dall’avvocato Francesco Muzzopappa) è stato condannato a 17 anni e 7 mesi di reclusione mentre Garisto e Navarra a 11 anni e 1 mese di reclusione. I tre erano stati accusati di aver partecipato al rapimento a scopo estorsivo di Ursino per la restituzione di un presunto credito di seimila euro, con fasi di violenza e minacce in Lombardia e successivo trasferimento in Calabria.
La lupara bianca di Filippo Gangitano
Sul banco degli imputati in appello c’era anche il collaboratore di giustizia Andrea Mantella (difeso dall’avvocato Fiormonti), condannato anche in secondo grado a 14 anni perché ritenuto responsabile della “lupara bianca” (gennaio 2002) del cugino Filippo Gangitano. Nei suoi confronti il pm Annamaria Frustaci aveva chiesto la conferma della condanna emessa dalla Corte d’assise di Catanzaro.
Le “lupare bianche” e la ricostruzione della Procura
La Procura generale aveva chiesto la conferma integrale delle condanne di primo grado. Nel corso della requisitoria il magistrato aveva ricostruito la catena di delitti che, secondo l’accusa, definiva il potere e la violenza della ’ndrangheta vibonese tra gli anni ’90 e i primi 2000: le “lupare bianche” di Roberto Soriano e Antonio Lo Giudice (agosto 1996); il duplice omicidio Cracolici-Furlano (febbraio 2002); il sequestro Ursino. Per la Corte d’Assise d’Appello, restano saldi alcuni capisaldi dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, ma sono stati riconosciuti limiti nella prova della premeditazione e ridimensionamenti delle responsabilità individuali.