4 Settembre 2025
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Calabria

‘Ndrangheta, stangata al clan di Reggio Nord: 12 condanne nel processo “Gallico”

Colpo durissimo al sodalizio ‘ndranghetista attivo nei quartieri settentrionali. L’inchiesta ha svelato estorsioni, droga e “messe a posto” per soffocare l’economia della zona nord di Reggio Calabria

Il Gup di Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo, ha emesso pesanti verdetti al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, scaturito dalla vasta indagine denominata “Gallico“. L’operazione, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia, ha colpito al cuore un potente sodalizio ‘ndranghetistico attivo nella zona nord di Reggio Calabria.

Tra le condanne più significative, spiccano i venti anni di reclusione ciascuno inflitti a Domenico Mariano Corso e Antonino Crupi, ritenuti i presunti capi dell’organizzazione criminale. Oltre a loro, il GUP ha condannato Antonio Utano a tredici anni e nove mesi di carcere, Antonio Laruffa a nove anni, Pasquale Cartisano a quattordici anni e Rocco Marconese a nove anni e quattro mesi. Otto anni di reclusione ciascuno sono stati inflitti anche a Lorenzo Alberto MartinoAntonio Cangemi e Luigino Molinetti. Completano il quadro delle condanne Salvatore Giuseppe Molinetti (cinque anni e quattro mesi), Francesco Foro (un anno e quattro mesi, con pena sospesa) e il collaboratore di giustizia Antonio Randisi (un anno e due mesi). L’unica assoluzione è stata per Emanuela Morabito.

L’operazione “Gallico” del 2024: morsa sull’economia locale

L’indagine “Gallico“, condotta dalla Polizia di Stato nel 2024 e che ha coinvolto circa 40 indagati, aveva fatto emergere le gravi responsabilità dei clan della ‘ndrangheta nei quartieri della zona nord di Reggio Calabria. Le accuse riguardavano una serie di omicidi finalizzati al controllo delle estorsioni ai commercianti, l’imposizione alle imprese di persone legate ai clan e l’acquisto obbligato di merci da rappresentanti della ‘ndrangheta.

L’inchiesta aveva inoltre svelato un fiorente traffico di marijuana e episodi di intestazione fittizia di beni. Ciò che era emerso con chiarezza era una situazione “asfissiante” per chiunque tentasse di avviare attività economiche nella zona senza la cosiddetta “messa a posto“, ovvero il via libera rilasciato esclusivamente dai capi del sodalizio criminale. Le condanne odierne rappresentano un passo fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata in una delle aree più complesse della Calabria.

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