15 Ottobre 2025
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La ‘ndrangheta di Cirò armata fino ai denti, il collaboratore di giustizia Aloe: “Arsenale nascosto in posti strategici”

Il custode delle armi per volere di Cataldo Marincola era Luigi Vasamì secondo quanto riferito dal pentito alla Dda di Catanzaro, verbali confluiti nell'inchiesta Saulo

E se ‘na cosca on tena l’armi che cosca è?... Ci su l’armi, hai voglia e armi che aviumu nui, infatti mo simu chini e armi”. Dai Kalashnikov, ai fucili a pompa, ai bazooka, la forza militare della locale di Cirò viene descritta dal collaboratore di giustizia Gaetano Aloe in uno dei suoi tanti interrogatori, confluiti nell’inchiesta Saulo che ha portato i carabinieri del comando provinciale di Crotone ad eseguire il provvedimento vergato dal gip Massimo Forciniti contenente 21 misure cautelari, di cui 18 in carcere e 3 all’obbligo di dimora, su richiesta della Dda di Catanzaro.

Il custode delle armi 

E all’interno della ‘ndrina c’era una precisa “deontologia” operativa sulla gestione e detenzione delle armi. Cataldo Marincola, storico vertice del sodalizio prima del suo arresto aveva impartito delle precise linee guida. Per suo volere, le armi della cosca andavano prese e affidate a Luigi Vasamì (capo del sodalizio arrestato nel blitz Ultimo Atto). Un ordine, rimasto invariato nel tempo. Il pentito riferisce che Vasamì aveva a disposizione lotti di terreni, possedimenti sfruttati per nascondere l’arsenale in luoghi strategici, inaccessibili ai più, coadiuvato da alcuni familiari, di mestiere boscaioli e da uomini di fiducia, a loro volta proprietari di terreni e di campagne nel territorio di Cirò Superiore. 

La strategia

Gino ha una strategia, compra i tubi, le mette nei tubi, e li copre per benino, questa è la strategia di Gino, e poi li sotterra”. Nonostante il monito di Marincola di lasciare a Vasamì l’esclusività sull’amministrazione delle armi, in base a quanto riferito dal pentito ai magistrati della Dda di Catanzaro, qualcuno avrebbe mantenuto ugualmente il possesso personale di almeno un’arma, facendo l’esempio di Giuseppe Spagnolo: “quella di Peppe vi posso dire pure dov’è che sono sicuro al cento per cento che l’aveva sempre conservata là”. Aloe elenca una sfilza di nomi di persone deputate a nascondere le armi, e menziona, tra questi, Cataldo Cozza, detto cozzareddu, definito dal pentito una persona scaltra, abile nell’occultamento di ogni sorta di materiale, dalle armi alla droga. “Cozzarello, tiene anche le armi nascoste. Lo so perché mi voleva dare pure una pistola, un fucile, è una delle persone più furbe che possa esistere, magari te le tiene in mezzo…in mezzo a te e nemmeno te ne accorgi. Pure la droga, dove pensi che te la nasconda Cozzatello? Cozzarello te la nasconde in mezzo alla strada la droga e tu nemmeno la vedi”.

Non danno nell’occhio e si muovono benissimo

 Anche Giuseppe Ferraro, più noto come “Cugno e Zappa” celava le armi e la sua famiglia, a detta del pentito, era proprietaria di un’azienda destinata sia all’agricoltura che all’allevamento, imparentata con Franco Cosentino, detto satizza, sodale doc, famiglia insospettabile, che si sarebbe occupata di nascondere armi e droga per Cosentino. “E questi qua sono i cugini di Franco, lontano… Cosentino… E Franco qualsiasi cosa illecita c’ha, ce l’hanno loro, cento per cento, per iscritto, vu mintu cu… u saccio pecchi… Armi, droga, si appoggiano pecchì un dunanu all’occhi.., su guagliuni seri e tenanu tuttu dha, poi si muovanu benissimamente”. 

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