L’accesso all’Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia è minacciato da un “blackout informativo” che alimenta profonde disuguaglianze tra le regioni. È la dura denuncia lanciata da Medici del Mondo nel suo terzo rapporto sul tema. L’organizzazione internazionale, impegnata nella tutela del diritto alla salute, punta il dito contro la “mancanza di informazioni chiare, aggiornate e accessibili” da parte del Ministero della Salute, le cui relazioni vengono spesso “pubblicate con mesi di ritardo, con dati superati, incompleti e non aperti”. Questa situazione, secondo il rapporto, non è un problema tecnico, ma una precisa volontà politica.
Le disuguaglianze regionali sotto la lente
Il report ha analizzato in dettaglio la situazione in tre regioni: Veneto, Sardegna e Molise. I risultati mostrano un quadro frammentato, dove la fruizione di un diritto garantito dalla legge 194/1978 cambia drasticamente a seconda del territorio. Se il Veneto si distingue come l’unica regione a fornire dati aggiornati sul proprio portale, la Sardegna spicca per una grave inadeguatezza informativa. In Molise, il problema principale è l’altissimo tasso di obiezione di coscienza tra ginecologi e ginecologhe, che raggiunge il 90,9%, pur con un’alta percentuale di IVG con metodo farmacologico (oltre l’80%). In Veneto, l’obiezione di coscienza si attesta al 66,6% a livello regionale, con punte dell’86% a Venezia, mentre le IVG farmacologiche sono in costante aumento, passando dal 53% al 64% tra il 2023 e il 2024.
L’ostacolo silenzioso al diritto fondamentale
Il report di Medici del Mondo sottolinea che il “vuoto informativo” è un “ostacolo silenzioso ma determinante” per l’effettiva fruizione di un diritto esercitato da oltre 65mila donne nel solo 2022. La direttrice di Medici del Mondo Italia, Elisa Visconti, non usa mezzi termini: “Quando le richieste ufficiali di accesso ai dati vengono ignorate o rifiutate, è evidente che siamo davanti a una precisa volontà politica di non fornire le informazioni”. Questo comportamento ha “conseguenze gravi e concrete”, creando disuguaglianze nell’accesso a un diritto fondamentale: quello di “decidere sul proprio corpo”, tutelare la propria salute e ricevere cure appropriate senza subire discriminazioni.