8 Agosto 2025
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Omicidio Campanella, il paradosso: risarcimento per il killer, nulla alla famiglia della vittima

Dopo il suicidio di Stefano Argentino in carcere, si estingue il processo per l’omicidio di Sara Campanella. La sua famiglia rischia di non ricevere alcun indennizzo, mentre i parenti del reo confesso possono chiedere risarcimento allo Stato

Si è chiuso nel peggiore dei modi il drammatico caso di Sara Campanella, la 22enne sgozzata in pieno centro a Messina dal suo ex collega universitario Stefano Argentino, 27 anni. L’omicida reo confesso, arrestato subito dopo il femminicidio, si è tolto la vita il 6 agosto nel carcere di Gazzi, impiccandosi con un lenzuolo. Il suicidio ha determinato l’estinzione del procedimento penale: il processo, che sarebbe cominciato il 10 settembre, non avrà luogo. Il reato di omicidio si estingue con la morte del reo (“mors rei”).

Il paradosso giuridico: risarcimento al killer, non ai familiari della vittima

La morte di Argentino apre uno scenario giudiziario paradossale. I familiari del suicida potranno ora rivalersi sullo Stato per omessa sorveglianza, con la possibilità di ottenere un risarcimento. Al contrario, la famiglia di Sara Campanella, privata del diritto di costituirsi parte civile nel processo, non potrà pretendere alcun indennizzo né da lui né dalla sua famiglia, a meno che i genitori dell’omicida accettino formalmente l’eredità. In caso contrario, l’unica via resta l’accesso al fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, un indennizzo pubblico di massimo 50.000 euro.

Il legale: “Lo Stato è responsabile di entrambe le morti”

L’avvocato Giuseppe Cultrera, difensore di Argentino, accusa lo Stato di aver ignorato i segnali di allarme: “Avevo richiesto una perizia psichiatrica che avrebbe potuto salvare almeno una delle due vite. Ma mi è stata negata. Adesso lo Stato dovrà assumersi la responsabilità morale e civile dell’intera vicenda”.

Anche il Sindacato di Polizia Penitenziaria (Spp) punta il dito contro la cronica carenza di organico nelle carceri italiane: “Mancano migliaia di agenti, e mantenere la sorveglianza speciale è diventato quasi impossibile”.

L’esperto: “Risarcimento alla famiglia del detenuto, è legittimo”

L’avvocato Guido Stampanoni Bassi, direttore della rivista “Giurisprudenza Penale”, interpellato da Adnkronos, chiarisce il quadro: “Secondo l’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, lo Stato ha il dovere di proteggere la vita di chi è sotto la sua custodia. La mancata prevenzione di un suicidio in carcere configura una responsabilità civile – e talvolta penale – dell’amministrazione penitenziaria”. Un precedente emblematico è quello di Antonio Citraro, morto nello stesso carcere nel 2001: la Corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia al risarcimento di 32.900 euro ai genitori, ben 19 anni dopo il fatto.

Le vittime e le disparità di trattamento

Il confronto con altri casi simili evidenzia l’iniquità del sistema risarcitorio: la famiglia di Chiara Poggi ha ottenuto 850mila euro da Alberto Stasi, così come i Cecchettin riceveranno fino a 760mila euro da Filippo Turetta. Cifre lontanissime da quelle previste dal fondo pubblico per i familiari delle vittime. Come ricorda l’avvocato Stampanoni Bassi, si tratta di una somma simbolica rispetto al valore di una vita umana, ottenibile solo a seguito di un iter amministrativo complicato e spesso doloroso.

Un vuoto morale oltre che legale

La tragica vicenda di Sara Campanella si chiude, per ora, in un vuoto giudiziario ed etico. La giovane è stata uccisa, l’omicida si è tolto la vita, e lo Stato, per omissioni e ritardi, rischia di risarcire solo chi ha causato il dramma. Un paradosso che lascia i familiari della vittima non solo nel dolore, ma anche in una condizione di ingiustizia profonda.

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