Da anni si discute anche in Italia della settimana lavorativa corta, un modello che in molti Paesi europei — dall’Islanda alla Spagna — è ormai realtà. Ma nel nostro Paese, dove i lavoratori restano tra i più stakanovisti d’Europa, il cambiamento procede a piccoli passi.
La media settimanale italiana è di 47 ore per gli autonomi e 36,6 ore per i dipendenti, spesso con straordinari per compensare salari tra i più bassi del continente. Ridurre le ore lavorative a quattro giorni, quindi, significherebbe un cambiamento strutturale profondo, economico e culturale.
Le prime sperimentazioni: dal privato alla grande industria
Le prime prove italiane di settimana corta risalgono al 2021, quando la società di consulenza Carter & Benson decise di passare a quattro giorni lavorativi a parità di stipendio.
L’anno dopo arrivò la svolta nel mondo bancario: Intesa Sanpaolo, su base volontaria, ha ridotto le ore settimanali a 36 distribuite su quattro giorni. A fine 2024, quasi la metà dei dipendenti abilitati aveva aderito. Più dell’80% dei lavoratori l’ha definita una misura “innovativa” che migliora benessere personale e conciliazione vita-lavoro.
Nel 2023, anche EssilorLuxottica ha introdotto il progetto Time4You: 15.000 dipendenti hanno ottenuto 20 giornate libere l’anno, per lo più il venerdì, in parte coperte dall’azienda.
A ruota, è arrivata Lamborghini, che ha adottato una formula alternata: una settimana da quattro giorni e una da cinque per chi lavora su due turni, mentre per i tre turni la proporzione è due a uno.
“Venerdì breve” e nuove formule di flessibilità
Altre realtà hanno optato per modelli più leggeri, come Lavazza, che da maggio a settembre introduce il “venerdì breve” — circa quattro ore di lavoro in meno — per favorire il benessere dei dipendenti.
Anche la Siae consente ora di alternare settimane da quattro e cinque giorni, a testimonianza di una trasformazione che non è più solo teorica, ma si sperimenta concretamente in diversi settori.
La Pubblica amministrazione apre alla sperimentazione
Nel 2025, anche la Pubblica amministrazione italiana ha avviato una fase sperimentale: la settimana lavorativa di quattro giorni è stata inserita nel rinnovo contrattuale delle Funzioni centrali 2022-2024, su base volontaria.
Le 36 ore complessive restano invariate, ma vengono concentrate in giornate da nove ore, con un riproporzionamento di ferie e permessi. Una soluzione che, secondo i sindacati, potrebbe ridurre i costi di gestione e migliorare la qualità della vita dei dipendenti pubblici.
L’Europa accelera, l’Italia riflette
Sul piano legislativo, la Spagna ha approvato nel maggio 2025 la legge che introduce 37,5 ore settimanali invece delle 40, senza tagli agli stipendi.
In Italia, invece, la proposta di legge — sostenuta da Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle — è ancora ferma in Commissione Lavoro alla Camera.
La bozza prevede l’istituzione di un osservatorio presso l’Inapp, incaricato di analizzare gli effetti della riduzione oraria sui diversi settori produttivi.
I costi e le resistenze politiche
A bloccare il provvedimento, le perplessità del presidente della Commissione Lavoro, Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia), che ha avvertito: “La settimana corta comporterebbe effetti onerosi per la finanza pubblica. Solo nel settore privato il costo stimato supera gli otto miliardi di euro”. Le difficoltà maggiori emergono in comparti come sanità e trasporti, dove serve un presidio continuo del personale. Tuttavia, molte aziende che hanno già sperimentato la riduzione oraria riferiscono aumenti di produttività, minore stress e maggiore fidelizzazione dei lavoratori.