6 Agosto 2025
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Calabria

“Basta con la legalità”: la bestemmia civile del prete di Forza Italia e quel silenzio imbarazzante di Tajani e Occhiuto

Don Nuccio Cannizzaro ha celebrato una messa che sa di eresia civile. In prima fila Tajani e Occhiuto. Nessuno ha smentito. Nessuno ha preso le distanze. Un silenzio assordante che fa più rumore della parole del prete

In Calabria, una regione dove le inchieste giudiziarie della Dda scandiscono il tempo più dei rintocchi delle campane, è andata in scena una funzione religiosa che di sacro ha avuto ben poco. Nella terza giornata degli Stati Generali del Sud voluti da Forza Italia, si è celebrata – a porte chiuse – una messa d’apertura che è diventata un incubo a occhi aperti. L’officiante? don Nuccio Cannizzaro, sacerdote calabrese dal passato controverso, noto alle cronache giudiziarie per un processo – conclusosi con assoluzione – in cui era accusato di falsa testimonianza a favore di un presunto boss della ’ndrangheta. Una scelta discutibile. Un’omelia devastante.

“Basta con la cultura della legalità”: parole pesanti come pietre

Secondo quanto riportato da Alessia Candito su La Repubblica, che nessuno ha finora smentito, don Cannizzaro ha pronunciato dal pulpito parole che, se confermate, rappresentano un colpo allo stomaco per chi – in Calabria – crede ancora nello Stato di diritto: «Basta con la cultura della legalità che tanti danni ha fatto»; «La politica deve prevalere sugli altri poteri»; «Gesù è stato il primo ad andare contro la rigida legge ebraica»; «Va ripristinata l’immunità parlamentare, il potere scelto con il voto dagli italiani deve avere la supremazia».

Parole che non si ascoltano nemmeno nei comizi più sfacciati, figuriamoci in un’omelia.
Eppure sono state pronunciate – sempre se confermate – davanti al vicepremier Antonio Tajani, al governatore Roberto Occhiuto, al coordinatore regionale Francesco “Ciccio” Cannizzaro. Tutti in prima fila, tutti in silenzio. Nessuno ha alzato la mano, nessuno ha chiesto una rettifica, nessuno ha preso le distanze.

In Calabria non si bestemmia contro Dio, ma contro la legalità sì

Le parole dell’omelia – se autentiche – risuonano come un inno all’illegalità. In una terra martoriata dalla ’ndrangheta, dove la cultura della legalità è l’unico antidoto possibile all’omertà, sentire un prete tuonare dal pulpito contro di essa è un insulto alla memoria di Falcone e Borsellino, alle parole di Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, alle croci issate su decine di bare di servitori dello Stato.

Mentre si parla di cultura della legalità come “dannosa”, in Calabria: decine di amministrazioni comunali vengono sciolte per infiltrazioni mafiose; si celebrano maxi-processi contro le varie consorterie ‘ndranghetistiche; si arrestano funzionari infedeli, colletti bianchi, sindaci e dirigenti; si combatte un sistema che ha fatto della zona grigia politica-mafiosa il suo cuore pulsante.

Eppure, nel cuore di tutto questo, un prete – nel silenzio complice della politica – si permette di delegittimare la magistratura e invocare la supremazia del potere politico, come se fosse stato votato per fare leggi impunibili.

La rimozione della memoria: l’Alzheimer morale calabrese

C’è in atto, in questa regione, una sistematica cancellazione della memoria. Un’operazione di marketing della verità che tenta di riscrivere i fatti. Le assoluzioni diventano “smentite”, le inchieste “flop”, i magistrati “giustizialisti”. Ma basta leggere le motivazioni delle sentenze, gli atti delle Procure, i verbali delle intercettazioni, per capire che il marcio c’è eccome. Anche quando non ci sono condanne, restano comportamenti politicamente e moralmente imbarazzanti.

Qui, dove la “questione morale” di Berlinguer è stata sepolta dagli stessi che ne sventolano il ritratto, dove l’articolo 54 della Costituzione (sul dovere di disciplina e onore) è dimenticato, e dove le parole dei Papi vengono sostituite da quelle di chi sognava l’immunità come scudo per ogni abuso, la legalità è diventata l’ospite scomodo.

Nessuna smentita, nessuna distanza. Il silenzio che fa più rumore

Da ore, l’intervento di don Cannizzaro fa il giro delle redazioni. Ma Forza Italia tace.
Non ha parlato Antonio Tajani, seduto lì davanti. Non ha detto una parola Occhiuto, che in Calabria governa. Non una nota da Ciccio Cannizzaro, che ha il cognome del prete ma – si spera – non lo stesso pensiero. Nessuno ha detto: “Quelle parole non ci rappresentano”.
Nessuno ha detto: “La legalità non si tocca”. E allora tocca dirlo noi: se un partito politico accetta in silenzio che si attacchi la legalità dal pulpito di una chiesa, ha perso ogni diritto di definirsi democratico. Se un prete usa l’altare come tribuna politica per difendere il potere, ha perso ogni diritto di indossare l’abito talare.

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