di Guido Preta – Dopo una lunga campagna elettorale, nei prossimi giorni la parola passerà agli elettori, i quali decideranno il destino dei quattro candidati a sindaco di Vibo. Va subito detto che le competizioni elettorali si vincono con i numeri/voti e non con gli applausi sotto il palco, e in tal senso non fanno eccezione le consultazioni comunali che, soprattutto al primo turno, saranno influenzate dagli aspiranti consiglieri comunali presenti nelle liste schierate a sostegno di Roberto Cosentino (centrodestra), Marcella Murabito (Rifondazione comunista), Francesco Muzzopappa (polo di centro), Enzo Romeo (centrosinistra). In questa fase l’incidenza del candidato a sindaco è minore rispetto a quella dell’eventuale turno di ballottaggio, quando l’espressione del voto è meno condizionata dai rapporti di parentela ed amicizia con i candidati a consiglieri. Partendo da questa premessa, occorre soffermarsi su quei fatti che, nel contesto del quadro sopra delineato, hanno determinato lo spostamento da uno schieramento all’altro, o addirittura il ritiro, di forze politiche e civiche.
Romeo e i voti che mancano
Cominciando dalla coalizione progressista, originariamente composta da M5S, PD, Liberamente Progressisti ed Umanesimo Sociale, va ricordato che l’idea intorno alla quale si era riunita era quella di creare una coalizione coesa in grado di conquistare palazzo Razza, e, al fine di evitare fisiologiche tensioni, si era stabilito che ogni forza che la componeva avrebbe portato al tavolo della concertazione due nominativi sui quali confrontarsi per individuare un comune candidato a sindaco. Le cose andarono diversamente poiché, nonostante gli accordi sottoscritti, il Pd presentò a favore di telecamere Enzo Romeo. La metodologia adottata dal segretario cittadino del partito, Francesco Colelli, fece implodere la coalizione e, dopo alterne vicende, Mimmo Consoli – leader di Umanesimo Sociale – lasciò la stessa. Se oggi Romeo può giocarsi una partita da protagonista lo deve esclusivamente al senso di responsabilità di Riccardo Tucci ed Antonio Lo Schiavo i quali, pur di impedire che le forze di sinistra partissero sconfitte prima di iniziare, decisero di superare le forzature effettuate da Colelli. Ricostruiti gli eventi, la domanda da porsi è se il “sacrificio” dei due politici sarà sufficiente oppure se l’abbandono di Consoli si rivelerà determinante per la sorte di Romeo.
Fuoco sotto cenere nel Pd?
In una competizione elettorale come quella di Vibo Valentia, dove un minimo numero di voti potrebbe fare la differenza tra il partecipare o il rimanere esclusi da un’eventuale fase di ballottaggio, non c’è dubbio che il venir meno dell’apporto, grande o piccolo che sia, dei candidati di un’intera lista è un fatto comunque molto negativo, che nella fattispecie concreta amplifica i suoi effetti nel momento in cui si accompagna ad un altro dato di fatto che ha come protagonista sempre la dirigenza cittadina del PD. Ci riferiamo alla circostanza che, a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione delle liste, Colelli e soci, nel corso di un’infuocata riunione, hanno accusato il segretario provinciale Di Bartolo ed i consiglieri regionali Alecci e Mammoliti di essersi disinteressati e di non aver fornito alcun supporto nella formazione della lista col simbolo del partito. Le responsabilità, per come vedremo, sono diverse, ma le diatribe di cui si è detto da un lato confermano la solita tendenza di casa PD ad accreditarsi i meriti fin quando si ritiene che le cose vadano bene, per poi scaricare su altri il frutto delle proprie incapacità, e dall’altro fanno emergere la preoccupazione per le potenzialità di una lista evidentemente non ritenuta all’altezza. Quanto al resto, va osservato che Colelli, dopo “l’imposizione” di Romeo – che comunque rimane un candidato molto stimato in città – ha sbagliato tutto il resto: aveva avviato una campagna elettorale scoppiettante per poi afflosciarsi e scomparire completamente lungo il percorso, e, dopo aver perso “Umanesimo sociale” ed essere stato costretto ad infarcire la lista con ex sardine e personaggi di scarso rilievo elettorale, ha accusato Di Bartolo, Mammoliti ed Alecci, i quali invece sono stati sistematicamente ignorati dal segretario di circolo fin quando non si è trovato con l’acqua alla gola.
L’incognita comunista
Prima di chiudere questo capitolo, occorre soffermarsi anche sui possibili effetti della candidatura a sindaco di Marcella Murabito per Rifondazione Comunista; pur essendo una partecipazione di bandiera, ininfluente nel contesto generale della competizione, potrebbe invece incidere sulle aspettative di Romeo di accedere al turno di ballottaggio, atteso che i potenziali elettori della Murabito appartengono alla sua stessa area politica. Le solite inconcludenze delle forze di sinistra, capaci di dividersi su tutto senza mai essere in grado di realizzare un serio fronte comune.
Dietro le quinte del polo di centro
Per quanto concerne le altre due aggregazioni, va evidenziato come il destino di Muzzopappa e Cosentino sarà determinato da un evento che potremmo definire a formazione progressiva, frutto prima della mancata creazione delle condizioni affinché l’ex senatore Bevilacqua ed il consigliere comunale Luciano insieme ai rispettivi schieramenti potessero rimanere nel polo centrista, ed in seconda battuta dell’arguzia di chi è riuscito a creare i presupposti per rendere possibile il loro approdo alla coalizione di centrodestra. Nel corso della campagna elettorale molto si è discusso sui motivi che hanno determinato “in uscita” e reso possibile “in entrata” questo spostamento, pertanto riteniamo superfluo attardarsi sul tema, anche perché in questo contesto, in ossequio alla premessa fatta, più che le cause degli eventi interessano gli effetti, ciò nonostante non è possibile tacere su alcuni passaggi chiave. Chi, come Vito Pitaro, rimasto unico padre padrone del polo centrista, ha la necessità di ricrearsi quello spazio di agibilità politica venuto meno dopo la sua mancata ricandidatura alla regione, non può perdere per strada compagni di viaggio importanti. Oggi solo l’affermazione della sua aggregazione gli consentirebbe di centrare il proprio obiettivo, poiché gli fornirebbe un biglietto da visita importante per accedere in un partito politico nazionale che possa tutelare in futuro le sue ragioni. Stando così le cose, l’ex consigliere regionale avrebbe dovuto fare di tutto per impedire l’uscita di Bevilacqua e Luciano, compreso il sacrificio di accettare un candidato a sindaco diverso. Questo suo errore, unitamente alla capacità dimostrata da Comito e Daffinà di rimediare alle pregresse scelte di Mangialavori attraverso il superamento della ricandidatura della Limardo a favore di Cosentino, persona meno divisiva e certamente più competitiva, potrebbe rappresentare la chiave di volta della competizione. A tal fine basta evidenziare come, pur a voler assegnare alle liste poste in campo da Bevilacqua e Luciano un minimo sindacale di duemila voti, essi, spostati da una coalizione ad un’altra, diventano un’enormità in una competizione elettorale come quella di Vibo.