L’ultima indiscrezione partorita da Corriere della Sera è una di quelle che fa alzare il sopracciglio anche al più ingenuo degli osservatori: Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni vogliono candidare Mimmo Lucano alla guida della Regione Calabria, ora che Occhiuto si è dimesso. Una mossa ad effetto, dicono. Eppure c’è un problema, piccolo piccolo: Lucano è incandidabile per legge. Lo dice l’articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, meglio noto come Legge Severino, che vieta la candidatura a chi ha subito condanne definitive per reati commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri pubblici, anche se la pena inflitta supera appena i sei mesi. E sì, nel caso Lucano la condanna definitiva c’è.
A questo punto due le ipotesi: o AVS è convinta che la Costituzione possa piegarsi al sentimentalismo, oppure la candidatura di Lucano è un puro bluff mediatico. Una “operazione simpatia” per guadagnare visibilità e comprendo il nome del vero candidato della sinistra: Flavio Stasi, sindaco di Corigliano-Rossano. Lucano, ancora una volta, viene usato come specchietto per le allodole. E le allodole, purtroppo, spesso votano.
Gratteri candidato? Solo nella testa di Oliverio (e del Foglio)
Nel frattempo, Il Foglio regala a Mario Oliverio un’intervista che pare più una seduta di autocoscienza. “Il Pd non può candidare Gratteri”, tuona l’ex presidente della Regione, evocando scenari da giustizia ad orologeria, showman del momento, cultura giustizialista e chi più ne ha più ne metta. Il problema è uno: nessuno nel Pd ha mai proposto Gratteri come candidato. Semmai l’unico partito a farlo è stato il Movimento 5 Stelle, che anche recentemente ha accarezzato l’ipotesi. Ma Gratteri, come ha detto più volte, pubblicamente e chiaramente, non intende candidarsi nonostante gran parte dell’arco costituzionale lo tiri dalla giacchetta. Perché? Non vuole fare politica e chi lo conosce sa che è davvero “il felice procuratore di Napoli” e quando torna in Calabria lo fa per dedicarsi alla famiglia e alla sua più grande passione: l’agricoltura.
Ma è bastato che il suo nome circolasse come suggestione estiva per scatenare le ire di Oliverio, pluriassolto da tutte le inchieste che fin qui l’hanno coinvolto ma ancora imputato nel processo “Glicine”, quello che indaga il presunto sistema clientelare che avrebbe retto un pezzo di centrosinistra calabrese e, in particolare, di Crotone, il cosiddetto “sistema Sculco”. E non è finita: lo stesso Oliverio rischia di finire in un altro processo nell’ambito dell’inchiesta su un altro presunto sistema, il “sistema Pallaria”, quella in cui – secondo un’informativa della Finanza – un dirigente regionale avrebbe viaggiato fino a Roma per parlare del “caso Oliverio” con un alto magistrato. Una storia già raccontata in esclusiva da Calabria7 (LEGGI QUI) e confermata pubblicamente dallo stesso Gratteri in un recente dibattito con Tridico e Gomez.
Occhiuto: dimissioni, sfida e rischio calcolato
E poi c’è lui: Roberto Occhiuto, che si è dimesso cinquanta giorni dopo aver ricevuto un avviso di garanzia per corruzione, ma ha annunciato contestualmente la sua ricandidatura. “Mi dimetto per evitare logoramenti, non ce l’ho con i magistrati”, ha detto e ribadito alla stampa “amica” in un’intervista rilasciata al Giornale. Una mossa che, più che atto dovuto, agli osservatori più maligni è parsa una mossa d’anticipo per cavalcare l’onda mediatica prima che la magistratura completi il lavoro. La Procura di Catanzaro ha chiesto una proroga delle indagini fino a novembre. Se la situazione si aggravasse – con altre contestazioni o un eventuale rinvio a giudizio – Occhiuto si ritroverebbe al punto di partenza o peggio e, in caso di un’eventuale condanna (anche di primo grado), addirittura, sospeso per effetto della Severino. Proprio come accadde a Giuseppe Scopelliti nel 2014. Ma intanto, lui si gioca la partita e va avanti fiducioso nell’archiviazione delle questioni giudiziarie.
“Ho respirato solidarietà tra i calabresi, ho fatto cantieri, riforme, risultati”, dice. Sarà. Ma in una regione che ha già vissuto l’incubo di una legislatura monca, il rischio è concreto: votare oggi per poi restare senza guida domani. Una roulette istituzionale che non si merita nessun territorio, men che meno la Calabria. Per questo motivo, la mossa del cavallo di Occhiuto somiglia tanto a un arrocco strategico: una manovra d’emergenza che nel gioco degli scacchi serve per salvare il re, uscire dall’angolo e sfuggire a uno scacco matto che sembrava imminente.
Chi è il cavallo, chi il ronzino, chi il prestigiatore
In questo circo di candidature vere, finte, annunciate o illegittime, la verità è che certi nomi agitino più fantasmi che ambizioni e che le battaglie personali spesso travestono guerre politiche. Occhiuto ha fatto una mossa d’anticipo: la storia dirà se è quella del cavallo o del ronzino. Lucano è fuori gioco per legge, ma dentro la partita della propaganda. Oliverio oggi invoca garantismo, ma sembra dimenticare i dossier giudiziari che ancora lo riguardano – e, soprattutto, com’era la Calabria ai tempi in cui a governare c’erano lui e i suoi compagni di partito. Un’“Operazione Alzheimer” a senso unico, che però non cancella la memoria collettiva. Basterebbe chiederlo al Pd, che fu il primo a scaricarlo proprio sfruttando le inchieste della magistratura come leva politica.
Nel frattempo, una sola cosa è certa: la Calabria non può permettersi un’altra legislatura mutilata, un altro presidente sospeso, un’altra campagna elettorale fondata sul nulla e sull’illusione. Il problema non è chi si candida. Il problema è chi può davvero governare per cinque anni, senza sorprese e senza ombre. Il resto è fumo. O, se preferite, chiacchiericcio estivo, come direbbe lo stesso Oliverio.