A Vibo Valentia esiste una scala mobile. Non funziona, non è mai funzionata e, se Dio ha pietà, non funzionerà mai. Non per pessimismo, ma per decenza. Perché farla partire oggi sarebbe come accendere un phon su un cadavere: tardivo, macabro e ridicolo. L’infrastruttura, che già all’epoca del progetto era obsoleta, oggi è un vero e proprio monumento al grottesco. Una spirale, sì, ma non mobile: burocratica, politica, clientelare. Un girone dantesco in cui si entra con la fascia tricolore e si esce con le mani nei capelli.
Numeri da incubo
Partiamo dai numeri, ché quelli non mentono: idea partorita nel 2000, lavori partiti nel 2016, conclusi nel 2019. E da lì, il nulla. Anzi, peggio: sei anni di letargo, durante i quali la scala — mai collaudata — si è trasformata in un residuato bellico. I rulli arrugginiti, i nastri da cambiare, la tecnologia sorpassata come le promesse elettorali. Totale del conto per tentare il miracolo? Sessantamila euro. Che ovviamente non ci sono. Ma la domanda vera è: perché dovrebbero esserci?
L’inesplicabile spiegato male
L’assessore ai Lavori pubblici Salvatore Monteleone, chiamato a rispondere in Commissione, ha avuto il difficile compito di spiegare l’inesplicabile. E lo ha fatto come si spiega una scusa a un vigile: imbarazzo, pause, frasi spezzate. Il direttore dei lavori, Carmelo Congestrì, si è dimesso. Prima di farsi cacciare, ha lasciato due foglietti volanti come documentazione finale. Mancava la contabilità? Pazienza. L’importante è che ora la patata bollente sia passata al prossimo, il quale — chissà — forse stavolta riuscirà a concludere il nulla in maniera definitiva.
Promesse da comunicato Inps
Intanto il sindaco Romeo, col solito lessico da comunicato INPS, annuncia che “si farà tutto il possibile per trovare i fondi”. Non dice quando, non dice come, non dice nemmeno perché. D’altronde, chi mai vorrà davvero vedere quella scala accendersi, per portare forse tre cittadini ogni venti giorni in centro, sotto lo sguardo attonito di un’intera città che ha problemi ben più urgenti di cui occuparsi?
Un museo del paradosso
Eppure è questa la parabola perfetta del fallimento italiano: opere inutili per fini imperscrutabili, gestite da nessuno, collaudate mai, costose sempre. Nel frattempo, gli studenti scavalcano la recinzione per usarla come scorciatoia. Un gesto eroico, in una città in cui muoversi da un punto all’altro è un atto di fede più che di logica. La scala, intanto, resta lì: un reperto post-industriale, un museo del paradosso. Come l’Alitalia o il ponte sullo Stretto: nessuno sa a cosa serva, ma tutti ci hanno messo mano.
La vera scala che serve
La verità è che a Vibo non serve una scala mobile. Serve un altro tipo di scala. Qualcosa che riporti la politica al piano terra, tra la gente, tra i problemi veri. Invece si continua a salire — retoricamente — su progetti senza testa né coda. E non c’è bisogno di manutenzione: basta un microfono acceso e la promessa si avvita da sola.
Un’opera perfetta, nel suo fallimento
Nel Paese in cui le opere si progettano per finanziare i progettisti e non per servire i cittadini, la scala di Vibo è il capolavoro definitivo. Una truffa perfettamente legale, costruita per non funzionare. E in questo, va detto, funziona benissimo.