In attesa che la Corte d’Appello di Catanzaro proceda con la proclamazione degli eletti, è opportuno porsi alcune domande in relazione all’esito del voto. Esse possono essere riassunte nei seguenti termini: gli esponenti delle formazioni politiche scese in campo a sostegno di Tridico sono tutti delusi oppure qualcuno lo è di meno? I risultati hanno conferito ad Occhiuto una forza maggiore rispetto al recente passato?
Procedendo con ordine ed iniziando dalle cause della pesante sconfitta individuate da diversi esponenti dell’area progressista, va osservato che, nella sostanza, tutti seguono il medesimo filo conduttore che considera Tridico un candidato calato dall’alto, poco radicato sul territorio, il quale, nonostante l’impegno profuso, non è riuscito a sopperire alle fisiologiche lacune di chi, vivendo fuori dalla Calabria, non conosce le varie problematiche regionali. Se tutto questo è vero – per come lo è – le responsabilità di una scelta così poco oculata sono molteplici e coinvolgono sia i vertici nazionali che i responsabili regionali dei vari partiti.
Le colpe dei vertici: tra Roma e Calabria
Ma, se con riferimento a Conte, Schlein, Fratoianni e Bonelli, ad essere buoni, potremmo sostenere che della Calabria conoscono solo la collocazione geografica – altrimenti mai avrebbero scelto uno come Tridico per una regione dove il consenso politico è prevalentemente frutto di conoscenza diretta e rapporti consolidati col candidato – diverso è il discorso per i responsabili regionali del Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle.
In particolare, per quanto concerne Nicola Irto (PD) e Ferdinando Pignataro (AVS), non si può che concordare con chi ha sostenuto, pur senza fare i nomi, che la candidatura di Tridico, con tutte le conseguenze del caso, si è concretizzata poiché coloro i quali avrebbero dovuto far presente ai vertici romani i rischi di presentarsi agli elettori con un candidato avulso dal contesto regionale per calcoli personali non hanno insistito su nessuna proposta alternativa che pure esisteva.
Falcomatà e Stasi: le alternative silenziate
In tal senso va ricordato che, prima della designazione ufficiale di Tridico, nel momento in cui l’economista grillino faceva le bizze e dichiarava di preferire rimanere a Strasburgo, si era discusso sulle candidature a governatore del sindaco PD di Reggio Calabria Falcomatà e di quello di Corigliano-Rossano Stasi (AVS), i quali però, se da un lato offrivano certamente maggiori garanzie di radicamento sul territorio, dall’altro, agli occhi di chi aveva interesse a mantenere l’attuale status quo all’interno dei rispettivi partiti, rappresentavano un pericolo imminente.
È infatti chiaro che la candidatura di uno dei due sindaci, anche in caso di sconfitta, lo avrebbe consacrato come leader delle forze progressiste in consiglio regionale e tale nuovo status gli avrebbe consentito di rivendicare la guida del partito di riferimento, mettendo in discussione la posizione di chi attualmente occupa quella poltrona.
Il calcolo del potere: Irto e Pignataro “difendono la sedia”
A meno di due anni dalle elezioni politiche, una postazione del genere, che garantisce ad Irto e Pignataro l’esercizio di una grossa influenza sulle candidature blindate al Parlamento, è stata difesa con le armi, anche a costo di agevolare la vittoria del candidato del centrodestra.
Occhiuto e la fine del “metodo personale”
Cambiando versante, e ritornando alla domanda iniziale, riteniamo che, nonostante i numeri possano far pensare ad un rafforzamento da parte di Occhiuto, nei fatti le cose non stiano in questi termini. A tal fine va detto che, in precedenza, il potere del riconfermato presidente si estrinsecava attraverso quel modus operandi conosciuto come “metodo Occhiuto”, caratterizzato dalla nomina nei posti chiave del governo e sottogoverno regionale degli amici del suo cerchio magico, che, a loro volta, da quelle postazioni distribuivano incarichi e prebende.
L’inchiesta di Catanzaro e il ridimensionamento del governatore
Oggi le cose sono cambiate e la repubblica presidenziale di Calabria instaurata da Occhiuto non esiste più, essendo stata abbattuta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro attraverso quell’avviso di garanzia notificato al presidente, che lo ha posto nelle condizioni prima di doversi dimettere e, successivamente, di assoggettare al beneplacito di Meloni, Salvini e Tajani la propria ricandidatura.
Un potere dimezzato, nonostante il voto
Stando così le cose, è molto improbabile che il governatore possa esercitare quel potere assoluto che ha ghettizzato gli alleati di Fratelli d’Italia e Lega. Meloni e Salvini non sono degli sprovveduti ed Occhiuto non ha nessun interesse a far alzare loro la voce per imporgli una gestione condivisa e collegiale del governo regionale.
Se quindi non sarà possibile replicare quel sistema di gestione individuale e dispotico che, tanto per fare qualche esempio, ha consentito ad Occhiuto finanche di nominare un assessore esterno inesperto e insipiente, preferendolo a chi era stato gratificato dagli elettori con migliaia di voti, e che poteva vantare nel proprio palmares solo una parentela acquisita con uno dei suoi amici più fidati – a sua volta indagato da ben due procure (Catanzaro e Roma) per ipotesi di reato molto pesanti, che vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione – allora è chiaro che, una volta spezzata questa catena di connessioni, favori e contro favori, pur essendo aumentati i numeri del consenso elettorale, nei fatti Occhiuto ne esce ridimensionato.