29 Settembre 2025
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Sanità in Calabria, il grande bluff delle mezze riforme: Azienda Zero senza poteri, Lea appesi alla perequazione

Viaggi della speranza e bilanci in rosso: la Calabria spende più di quanto incassa e vive di trasferimenti. Ecco cosa è necessario fare per cambiare invertire il trend negativo

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A fine gennaio 2025 è arrivato in Gazzetta il riparto del Fondo sanitario 2024: la mobilità passiva morde ancora. È l’ennesima fotografia di un sistema che spende più di quanto incassa e resta appeso alla perequazione. Dentro quei numeri, analizzati per Calabria7 dall’ex funzionario del Consiglio regionale della Calabria, Carlo Ranieri, c’è l’origine del malessere: rendite interne mai scalfite, una Azienda Zero nata depotenziata e la fuga verso Nord che svuota reparti e bilanci.

La terapia è nota – governance forte, territorio che funziona, acquisti centralizzati, trasparenza sui tempi d’attesa – ma richiede scelte nette. Intanto il conto lo pagano i calabresi due volte: con i viaggi della speranza e con una fiscalità che da sola non tiene in piedi i LEA.

La riforma rimasta a metà

Azienda Zero doveva togliere caos e doppioni. La promessa: acquisti centralizzati, gestione del personale con criteri unici, liste d’attesa monitorate, programmazione stabile. In pratica il perno è rimasto debole: poteri limitati, banche dati che non dialogano, uffici che comprano in ordine sparso, vertici che rispondono al campanile più che alla regia. Così la catena si spezza: farmaci in ritardo da una parte e in eccesso dall’altra, contratti a termine senza una mappa dei fabbisogni, agende a intermittenza. Risultato: tempi che si gonfiano e utenti che scappano.

Che cosa dev’essere “Azienda Zero” domani

Non un logo, ma un cervello operativo che decide e risponde dei risultati. Ogni settimana una control room incrocia tempi d’attesa, posti letto, sale operatorie, macchinari e turni; dove c’è un collo di bottiglia, sposta risorse in giorni, non in mesi. Ogni mese pubblica un cruscotto con tre numeri per ciascun ospedale: visite erogate, visite saltate, prenotate entro 30 giorni. Agli acquisti serve una leva unica: gare regionali, catalogo prezzi per tutti, consegne tracciate, penali automatiche. Sulla dirigenza: mandati a tempo, rotazioni programmate, obiettivi trimestrali pubblici (liste, uso sale, presa in carico dei cronici). Chi centra i target resta e viene premiato; chi no, cambia ruolo. Ogni euro deve “parlare” e ogni decisione lasciare traccia.

La trincea degli ospedali

Dietro le statistiche ci sono corsie vere. La qualità professionale c’è, ma senza regia ogni carenza diventa frattura. Manca un infermiere? Salta la giornata operatoria e la lista si allunga. Si ferma un tecnico di radiologia? La TAC si spegne, i casi urgenti migrano, il pronto soccorso esplode. Non c’è l’anestesista? Le sale chiudono e i pazienti prenotano un treno. La via d’uscita: stabilizzare dove la domanda è alta, legare assunzioni a obiettivi misurabili; manutenzione programmata con service che garantiscano macchine accese e calendario pubblico dei fermi; agenda chirurgica regionale che sposti i casi dove c’è sala ed équipe, pubblicando slot e tassi di utilizzo. In mezzo, la dignità di chi lavora: meno precariato, straordinari governati, buone pratiche condivise. Non slogan: giornate operative in cui la direzione gira i reparti, decide e rimuove ostacoli.

Il territorio come prima porta

Se la prima risposta è vicino a casa, la corsa al Nord rallenta. Servono medici di famiglia sostenuti da équipe (infermieri di comunità, fisioterapisti, psicologi), case della comunità con orari estesi, diagnostica leggera accessibile (prelievi, ECG, eco di base senza attese infinite). Presa in carico concreta: per i cronici un piano scritto e un referente; per le fragilità un contatto entro 48 ore e assistenza domiciliare reale. Guardie mediche e PS devono dialogare: una piattaforma unica indirizza i non urgenti verso ambulatori veloci. Se prenoto oggi e so quando entro, non prendo il treno domani.

I soldi: da dove arrivano davvero

La sanità vive di IVA, IRAP e IRPEF. Se l’economia è fragile e il lavoro nero pesa, la base imponibile non regge i LEA. La leva non è solo tagliare: è allargare il gettito. Una ZES che funziona significa permessi rapidi, aree pronte, infrastrutture garantite e clausole occupazionali che trasformino gli investimenti in stipendi regolari. Ogni posto emerso è più IRPEF; ogni impresa che fattura in Calabria è più IVA. Servono pagamenti puntuali ai fornitori, controlli sulla spesa farmaceutica e un patto con i professionisti: stabilità in cambio di obiettivi.

Autonomia differenziata, senza slogan

La domanda non è “pro o contro”, ma come garantire i diritti se la perequazione si restringe. Primo scenario: standard minimi nazionali su tempi e servizi, con fondo di garanzia automatico sotto soglia. Secondo scenario: più libertà senza reti; allora la Calabria deve dire subito come compensa i flussi in uscita e in quali tempi riduce le liste. In ogni caso servono numeri: quanti cronici presi in carico entro l’anno, quante prime visite entro 30 giorni, quante giornate sala attive rispetto al potenziale. Senza date, risorse e responsabilità chiare, è talk show. Con paletti LEA e una regia che produce risultati visibili, può diventare l’occasione per cambiare davvero.

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