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Gli affari del clan dei Gaglianesi sul caffè e gli incontri di ‘famiglia’ in un ristorante di Catanzaro

Nelle dichiarazioni del pentito Mirarchi, nell'ambito dell'inchiesta Clean Money, il ruolo di Roberto Corapi all'interno del clan e l'appalto per il bar al Parco della Biodiversità

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“Lui fa parte del clan di Gagliano, poiché economicamente sui lavori pubblici dal 2005,2006 al 2014, diedero la responsabilità delle gare d’appalto di Catanzaro a Nicolino Grande Aracri. Lui si è messo come responsabile Piero Mellea. Per non scontrarsi con la famiglia Costanzo, Nicolino e gli Arena hanno riconosciuto una percentuale ai Gaglianesi sempre tramite lui. Si è affiancato a Piero Mellea, si prese anche alcune estorsioni, prese la parte dei Gaglianesi, perché lui rappresenta la famiglia dei Gaglianesi con Piero Mellea”. Il collaboratore di giustizia Santino Mirarchi parla di Roberto Corapi, considerato dalla Dda un uomo importante della criminalità organizzata operante nella città di Catanzaro, contiguo al “Clan dei Gaglianesi” come è emerso nell’ambito dell’indagine “Revenge”, condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso nell’inchiesta Antimafia “Kiterion-Terremoto”, facente parte, dal 2012 al 2013, della pericolosa cellula mafiosa satellite della potente cosca “Grande Aracri” di Cutro, operante nella città di Catanzaro e zone limitrofe con a capo Gennaro Mellea inteso “Piero o Pierino”. In quella fase storica Corapi ha rivestito il ruolo di intermediatore tra Mellea e i Gaglianesi a seguito della netta contrapposizione che si era creata tra di loro.

Il consenso del clan per l’ appalto al Parco della Biodiversità

Interrogato dal pm della distrettuale di Catanzaro Veronica Calcagno il 24 maggio 2023 nell’ambito del blitz “Clean Money” che ha portato i carabinieri ad eseguire l’arresto di 22 indagati, Mirarchi dichiara che Mellea diede il consenso, perché Corapi si aggiudicasse  la gara di appalto per aprire il bar al Parco della Biodiversità. “L’impresa di Corapi del caffè, che lui si è preso pure il marchio, è stata finanziata da Pietro Procopio, lui è riuscito ad arrivare ad un grosso fatturato, noi anche su Lido gli facevamo portare il caffè”. Il collaboratore riferisce, come risulta dall’informativa del Reparto operativo del Nucleo investigativo dei carabinieri, che le questioni legali venivano gestite da Corapi, mentre “la parte illegale”, relativa alle imposizioni del “Caffè Corapi”, nel territorio catanzarese, veniva governata dai Gaglianesi e dagli zingari. Nel corso dell’audizione il pentito aggiunge che dopo l’arresto nel 2014, le attività di Corapi vengono gestite da un suo stretto congiunto, “consapevole di tutto, degli affari illeciti,”, sottolineando che molte volte portavano i soldi delle estorsioni a quest’ultimo che li recapitava in carcere a Roberto Corapi.

Gli incontri al ristorante

Il collaboratore di giustizia spiega durante l’interrogatorio gli stretti rapporti intercorrenti tra lo stesso Corapi, Pietro Procopio, detto “U Biondo”, Enzo Iiritano, Vitaliano Cannistrà, alias U Buffone, precisando che fino al 2013-2014, andavano spesso a mangiare in un ristorante sito in via Lucrezia della Valle e poi in località Germaneto, incontri a cui partecipava, per sua stessa ammissione Mirarchi e durante i quali si parlava anche di affari, delle estorsioni, dei problemi delle famiglie di ‘ndrangheta: “spesso sono andato anche io con loro; il proprietario chiudeva il ristorante per noi. Erano pranzi perché ci vedevamo alle due, alle tre, ma nella sostanza erano incontri, in cui si parlava di affari. Ci si riuniva, due, tre volte al mese e si parlava delle estorsioni, di come andava, di quali erano i problemi delle famiglie; si faceva il punto sulle dinamiche che stavano accadendo in quel momento”. Durante l’interrogatorio fiume, il collaboratore di giustizia parla di Domenico Rizza: “faceva parte dei Gaglianesi, si occupava sia delle armi che della sostanza stupefacente”.

Pistole pagate a 500 euro e la gestione di cocaina e marijuana

A detta del pentito, Rizza imputato nel processo “Secreta Collis”, (LEGGI), comprava le pistole nelle zone di Brindisi o Bari e le modificava in un magazzino che si trovava salendo verso il quartiere Gagliano di Catanzaro, in prossimità del passaggio a livello vicino ad un altro magazzino fatto in lamiera dove c’era un meccanico. “Modificava le pistole a salve “scacciacani”, trasformandole in vere pistole calibro 9X21, queste armi avevano un difetto, dopo aver sparato due caricatori la canna si fondeva dal calore prodotto dalle esplosioni”. Riferisce di essere andato più volte a trovare Rizza in questo magazzino, comprando da lui pistole, comprese di caricatore e di munizioni, al prezzo di 500 euro. E a dividersi i ruoli Rizza e i Costanzo: “il primo gestiva le armi e la cocaina, i secondi la marijuana dividendo i guadagni in parti uguali e una fetta degli introiti venivano mandati al capo Girolamo Costanzo. 

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