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Il terrore del clan dei Gaglianesi di essere spiati dagli investigatori di Catanzaro e le scappatoie per evitare i controlli

Nell'informativa dei carabinieri agli atti dell'inchiesta della Dda di Catanzaro, nome in codice Clean Money, i dubbi e i sospetti di essere intercettati dalla Dda: "Quando arrivano questi qua sono pesanti"

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Il clan dei Gaglianesi ha il terrore di essere spiato, tenta in tutti i modi di evitare di essere intercettato dalla Forze dell’ordine e le cautele da usare non sono mai troppe. Alcuni presunti esponenti del clan dialogano tra di loro poggiando il cellulare altrove, altri non se lo portano proprio dietro e altri ancora si accorgono che qualcosa non quadra e hanno il sospetto di essere controllati. Emergono ulteriori dettagli nell’informativa del carabinieri allegata agli atti dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, Clean Money sui nuovi affari illeciti della ‘ndrangheta di Gagliano, che ha portato il 27 febbraio scorso a 22 misure cautelari, di cui 12 in carcere e 10 ai domiciliari.

 “Ma non è che la notte viene qualcuno e mette microspie”

Il 21 settembre 2020 viene captata una conversazione all’interno dell’auto di Tommaso Patrizio Aprile, tra questi e Michele Muraca. I due si preoccupano di aver trovato il cancello di Aprile aperto e Muraca, dietro l’insistenza del suo interlocutore che lo accusa di aver lasciato aperto il cancello, ipotizza che qualcuno di notte ha potuto installare delle microspie: “ma era aperto il cancello stamattina… lo hai lasciato tu aperto…no, non ho lasciato niente…  era chiuso…io l’ho chiuso…mah…non è che la notte viene qualcuno e mette microspie?”. Un mese prima, il 24 agosto, i due sono in macchina nel centro di Catanzaro, Muraca si allarma alla vista di una “volante” delle Forze di polizia e Aprile lo invita a stare tranquillo:“...bestemmia…all’improvviso è arrivata questa volante? Prima non c’era! Mah…Ieri gliene ho dati fichi al maiale… Vuoi vedere che a noi fermano questi? No…non so perché, ci sta guardando…E non guardare tu”.

“Non c’è più privacy, non possiamo dire nemmeno cazzate”

Pietro Procopio, definito dagli inquirenti scaltro, dialoga, per scongiurare il pericolo di essere intercettato, parla in disparte con altre persone dopo aver lasciato a distanza il proprio smartphone, tant’è che in alcune conversazioni ritenute importanti dagli investigatori, vengono spiate solo le parti iniziali dei dialoghi. Lui il cellulare se lo porta dietro all’interno dell’ufficio “riservato” posto nel capannone retrostante a quello dove ha sede la sua attività commerciale aperta al pubblico solo se sa di non dover affrontare tematiche delicate. Il 21 gennaio 2021 viene registrata, attraverso il servizio di telematica attiva sul telefono di Procopio una conversazione di interesse investigativo tra lo stesso e Salvatore Corea, in cui entrambi dialogano sulle attività intercettive eseguite dagli operatori di polizia ed in particolare quest’ultimo commenta il fatto che le Forze dell’ordine registrano le loro conversazioni con un’apparecchiatura che le scarica in maniera automatica senza la necessità di ascoltarle. Procopio fa presente che lui in passato in un’occasione si è recato dalla Guardia di Finanza dove erano presenti gli apparati per la registrazione delle “telefonate”, precisando che ci sono operatori di polizia competenti che intuiscono se c’è qualcosa di illecito in quanto loro sono già in possesso della parole “madri” (parole convenzionali, ndr). Procopio si lamenta che ormai non c’è più “privacy”, prigionieri perché non possono più raccontare una cazzata. Il 18 novembre 2021 

“Sono arrivati reparti importanti, ci hanno seguiti”

In data 18.11.2021, tramite il sistema di videosorveglianza installato in via Magna Grecia all’altezza di un punto vendita Procopio fa vedere al figlio il proprio smartphone, chiedendo lumi sulla presenza di un puntino luminoso, ritenuto anomalo, esternando il dubbio che tramite quel “puntino” luminoso qualcuno potesse scattargli (da remoto, ndr) delle fotografie. Dubbi e sospetti tutt’altro che infondati. Le volte in cui Procopio si incontra con esponenti della ‘ndrangheta del Vibonese, gli investigatori hanno difficoltà a captare conversazioni penalmente rilevanti, perché Procopio si allontana con il sui interlocutori e lascia il telefono in azienda. Di interesse investigativo una conversazione monitorata in cui Manuel Pinto dialoga in casa con la famiglia, dicendosi preoccupato di tutte le informative redatte a suo carico che lo inquadrano come un’appartenente alla criminalità organizzata e rimarca di essersi accorto di essere monitorato dalla Dda: “però vedi che sono arrivati reparti pesanti, quando arrivano questi qua… sono pesanti… ha seguito mia moglie…ci ha seguiti con la macchina in borghese…”.

Il modo per evitare la trasmissione di file via web

Durante l’attività investigativa svolta nell’ambito di Clean Money, emerge, in relazione alle truffe perpetrate tramite una società che Pietro Procopio, Giuseppe Rijitano, Salvatore Corea Michele Maccherone hanno a disposizione una casella di posta elettronica in comune, su cui gli stessi sono soliti, attraverso il salvataggio nella cartella bozze, scambiarsi documentazione e messaggi. In questo modo, evitando la trasmissione di file via web, l’esclusione di un’attività intercettiva è assicurata. 

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