Tre morti ammazzati, un sopravvissuto ferito e strisciante nel fango, e un messaggio criminale chiaro: da oggi qui comandiamo noi. Così, secondo l’informativa della Dda di Catanzaro agli atti del processo Habanero, nel 2003 si consumò la strage di Ariola, piccola località nel cuore delle Preserre tra Gerocarne e Acquaro, enclave vibonese. Un’esecuzione mafiosa, premeditata e feroce, con l’obiettivo di “acquisire il totale controllo criminale del territorio”. Vittime: Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barilaro. Gravemente ferito ma sopravvissuto: Ilario Chiera, salvatosi gettandosi in un fosso.
A distanza di vent’anni, l’informativa firmata dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia ricostruisce – con un impianto accusatorio dettagliato – i ruoli di Angelo Maiolo, Francesco Maiolo (classe ’83), Francesco Maiolo (classe ’79), Francesco Capomolla. Secondo l’accusa, i primi tre sarebbero stati esecutori materiali, il quarto è ritenuto uno dei presunti mandanti insieme al boss Bruno Emanuele, il cui nome però è stato depennato dalla lista a un passo dall’udienza preliminare e non risulta quindi tra gli imputati per i quali la Procura antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio. Sui quattro pesano anche le aggravanti della premeditazione, della crudeltà, dei futili motivi, e soprattutto l’intento di rafforzare l’associazione mafiosa della ’ndrina di Acquaro.
L’udienza preliminare di Habanero
Oggi, dinnanzi al gup di Catanzaro si è tenuta la prima puntata dell’udienza preliminare del procedimento scaturito dall’inchiesta Habanero. Si è trattato di una primissima fase del tutto interlocutoria nel corso della quale hanno chiesto di costituirsi parte civile, tra gli altri, i familiari di Stefano Barilaro, assistiti dall’avvocato Michele Gigliotti, quelli di Francesco e Giovanni Gallace ma non Ilario Chiera, la vittima sfuggita all’agguato. Tre le parti civili hanno chiesto di essere ammessi il Ministero dell’Interno, il Commissario straordinario per le vittime di racket e usura e a diversi Comuni delle Preserre vibonesi (Acquaro, Arena, Dasà, Gerocarne, Sorianello, Vazzano).
Le difese hanno presentato eccezioni preliminari, tra cui l’incompetenza territoriale, tentando di spacchettare il processo tra Calabria, Abruzzo e Piemonte. Il pm Andrea Buzzelli che rappresenta la pubblica accusa nel ruolo di sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, ha chiesto il rigetto mentre il giudice si è riservato la decisione alla prossima udienza del 13 maggio quando gli imputati saranno anche chiamati a scegliere su quale rito optare tra abbreviato e ordinario.
La maxi-informativa dei carabinieri
Agli atti del procedimento spicca l’informativa dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia che descrive nei dettagli ciò che secondo l’accusa è avvenuto il 25 ottobre 2003, nella località Ponte dei Cavalli di Gerocarne, dove si è consumata una delle più efferate esecuzioni nella storia criminale della ‘ndrangheta vibonese: una vera e propria mattanza passata alla storia come la strage di Ariola che costò la vita a Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barilaro, lasciando gravemente ferito Ilario Chiera.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Michele Ganino, riportate nel dossier depositato dalla Dda, aggiungono dettagli fondamentali. Ganino racconta di essere stato avvicinato dai fratelli Francesco e Angelo Maiolo, i quali gli proposero di partecipare all’omicidio. Rifiutò, ma i due gli dissero di “tenersi aggiornato con i telegiornali”: pochi giorni dopo, la strage fu compiuta. Ganino riferisce inoltre che i Maiolo volevano vendicarsi di Enzo Taverniti e dei Gallace, ritenendoli responsabili dell’uccisione del loro zio Antonio Maiolo.
L’intero episodio è legato a una faida criminale interna, originata dopo la sparizione di Rocco Maiolo, padre di Francesco e Angelo. Secondo Ganino, fu proprio quell’omicidio mai rivendicato a dare il via a una lunga serie di vendette che culminarono con la presa del potere da parte dei Maiolo, sostenuti dal cugino Francesco Capomolla. Quest’ultimo ha fin qui rifiutato qualsiasi assistenza legale ribadendo di non voler essere seguito né da un difensore di fiducia e neanche d’ufficio.
Nell’informativa Ganino ha raccontato anche di un’estorsione a mano armata compiuta dai fratelli Maiolo ai danni di un distributore Q8: il titolare si rifiutò di pagare, affermando che “già pagava Taverniti Enzo”. Un affronto che, secondo l’accusa, rappresentò la miccia definitiva verso la guerra di potere. I fratelli Maiolo sono i due principali imputati nell’udienza preliminare Habanero ed entrambi stanno seguendo le loro vicissitudini processuali dal carcere duro al quale sono stati nel frattempo spediti dal Ministero della Giustizia. Sono tra i 37 detenuti vibonesi per i quali è stato applicato il regime del 41 bis.
Metodo mafioso e omertà: il controllo passa dalla paura
Il potere dei Maiolo si sarebbe fondato su intimidazioni sistematiche, pressioni economiche e un clima di omertà diffusa. Secondo la Dda, chi non si piegava al pizzo, subiva minacce, danneggiamenti o attentati. Chi collaborava veniva incluso nel circuito economico del clan, ma sotto stretto controllo.
Il collaboratore Ganino Michele descrive un clima asfissiante: racconta come i fratelli Maiolo “usassero a loro piacimento” le sue auto, sottraessero denaro e lo obbligassero a fornire ospitalità. Il tutto giustificato da “memoria del padre Rocco”, ma trasformato in soggezione.
Ganino afferma che, dopo la strage, Angelo Maiolo lo convocò in un garage, lo guardò negli occhi, portò il dito alla bocca e disse: “Non sai niente”. Quel silenzio imposto col terrore è parte integrante del metodo mafioso descritto nell’informativa.
Intercettazioni in carcere: gli ordini partono dalla cella
Le intercettazioni in carcere confermano che i vertici del sodalizio continuavano a impartire ordini anche da detenuti. Angelo Maiolo, secondo la Dda, riceveva comunicazioni da Francesco, recluso, tramite la convivente. Un’intercettazione del 23 settembre 2003 registra una conversazione tra la donna e Angelo: “dovete sbrigarvi”, riferisce. Il giorno dopo, la strage viene eseguita.
L’informativa racconta anche di sistemi di comunicazione interna tra detenuti, ordini passati nei colloqui e logistica per occultare armi, come il fucile e la pistola recuperati da Oppedisano a Monsoreto. Tutto documentato da servizi di pedinamento, telefonate, fotografie e confessioni.
Dal sangue al denaro: dalla Calabria al Piemonte e alla Svizzera
Nella maxi-informativa dei carabinieri si parla anche di denaro. La seconda fase del dominio della cosca è quella economico-imprenditoriale. Torino, Orbassano, Brandizzo, Cirié, ma anche la Svizzera (Pfungen e San Gallo). Secondo l’accusa è qui che la ’ndrina ha reinvestito i proventi illeciti, intestando società a prestanome, costruendo un sistema di riciclaggio articolato e fluido. Secondo la Dda, i fratelli Francesco e Cosimo Bertucci avrebbero avuto un ruolo centrale in Piemonte, attraverso il cosiddetto “gruppo Bertucci” composto da almeno quattro imprese. Non a caso nell’informativa si fa riferimento alla costituzione di società di copertura, finalizzate al riciclaggio dei proventi, alla protezione patrimoniale dei capi detenuti e al sostegno economico alle famiglie. Le aziende, formalmente autonome, venivano usate per intestazioni fittizie, autorìciclaggio, acquisto di immobili, e costituivano una rete di protezione finanziaria che rafforzava la consorteria anche fuori dai confini calabresi.
I nomi dei 24 imputati
Ipotesi accusatorie che adesso arrivano in un’aula di tribunale al vaglio di un giudice nel contraddittorio tra la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e il collegio difensivo. Complessivamente sono 24 gli imputati per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio. Si tratta di Luciano Barone, 50 anni, Montesilvano (PE); Cosimo Bertucci, 50 anni, Orbassano (TO); Francesco Bertucci, 51 anni, Nichelino (TO); Cristian Domenico Capomolla, 36 anni, Acquaro (VV); Francesco Capomolla, 41 anni, Gerocarne (VV); Giuseppe Chiera, 36 anni, Soriano Calabro (VV); Francesco Antonio Ciconte, 28 anni, Mazzè (TO); Domenico Fusca, 43 anni, Dasà (VV); Giorgio Galiano, 49 anni, Vibo Valentia (VV); Sandro Ganino, 40 anni, Acquaro (VV); Cosmo Damiano Inzitari, 47 anni, Acquaro (VV); Rinaldo Loielo, 29 anni, Rondissone (TO); Angelo Maiolo, 40 anni, Montesilvano (PE); Francesco Maiolo, 45 anni, Montesilvano (PE); Francesco Maiolo, 41 anni, Brandizzo (TO); Luca Marano, 45 anni, Chieti (CH); Filippo Monardo, 28 anni, Soriano Calabro (VV); Nicola Antonio Papaleo, 65 anni, Rosarno (RC); Rodolphe Pinto, 63 anni, San Salvo (CH); Vincenzo Pisano, 30 anni, Gerocarne (VV); Francesco Sorleto, 45 anni, Acquaro (VV); Pasquale Rottura, 30 anni, Acquaro (VV); Francesca Silipo, 39 anni, Acquaro (VV); Giuseppe Taverniti, 47 anni, Brandizzo (TO).
Il collegio difensivo
Nel collegio difensivo impegnato nell’udienza preliminare compaiono i nomi di Vincenzo Cicino (del Foro di Catanzaro), Pamela Tassone (Foro di Vibo), Cataldo Domenico Intrieri (Roma), Giuseppe Antonio Damini (Torino), Luigi Chiappero (Torino), Luca Cianferoni (Roma), Ermenegildo Massimo Scuteri (Catanzaro), Antonio Barilaro (Vibo Valentia), Beatrice Biamonte (Catanzaro), Sandro D’Agostino (Vibo Valentia), Nicola Loiero (Catanzaro), Alessandro Diddi (Roma), Giuseppe Di Renzo (Vibo Valentia), Francesco Schimio (Palmi), Sergio Rotundo (Catanzaro), Michelangelo Miceli (Vibo Valentia), Giuliana De Nicola (Pescara), Giuseppe La Rana (Milano), Ilario Tripodi (Catanzaro), Giuseppe Gervasi (Locri), Vincenzo Sorgiovanni (Locri), Lucio Canzoniere (Lamezia Terme), Laura Castellano (Pescara), Francesco Lojacono (Roma).