L’amministrazione Trump ha deciso di tagliare 400 milioni di dollari di sovvenzioni federali alla Columbia University di New York, accusandola di non aver protetto adeguatamente gli studenti ebrei da atti di antisemitismo durante le manifestazioni pro Palestina che si sono svolte nel campus. La notizia è arrivata tramite un comunicato stampa emesso da quattro agenzie federali, che hanno dichiarato che questi tagli rappresentano solo il primo passo di una serie di azioni punitive.
Queste misure sono state annunciate appena cinque giorni dopo che le stesse agenzie avevano avviato una valutazione riguardo alla possibile sospensione di 51 milioni di dollari di contratti con la New York City University e di una revisione della sua idoneità a ricevere oltre 5 miliardi di dollari in sovvenzioni federali.
Le manifestazioni e l’accusa
Il governo ha accusato la Columbia University di non aver agito per fermare le persistenti molestie nei confronti degli studenti ebrei durante le proteste contro Israele. Linda McMahon, Segretaria all’Istruzione, ha dichiarato che le università devono rispettare le leggi federali contro la discriminazione se desiderano ricevere fondi pubblici, sostenendo che la Columbia ha ignorato tali obblighi, danneggiando gli studenti ebrei.
La risposta della Columbia University
La Columbia University ha immediatamente risposto, dichiarando di prendere seriamente gli obblighi legali e di impegnarsi a combattere l’antisemitismo. L’università ha anche promesso di collaborare con il governo per cercare di recuperare i fondi tagliati. Tuttavia, non è ancora chiaro quali attività o progetti della Columbia saranno direttamente colpiti da questi tagli, lasciando in sospeso le ripercussioni economiche per la sua comunità accademica.
Comitato disciplinare e libertà di espressione
Nel frattempo, la Columbia ha istituito un nuovo comitato disciplinare, intensificando le indagini interne sugli studenti critici nei confronti di Israele. Questo passo ha suscitato preoccupazioni tra chi teme che queste azioni possano minacciare la libertà di parola all’interno dell’istituzione.